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Ferrara, «il lavoro? Qui non è per giovani. Bassi stipendi e poche occasioni»

Ferrara, «il lavoro? Qui non è per giovani. Bassi stipendi e poche occasioni»

Una decina di ragazzi dicono la loro sull’immagine che li vede “sdraiati” e sfaticati. «All’estero sostegni e compensi più alti. Qui impieghi precari e lo stress al bar»

01 settembre 2023
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Ferrara Distesi sul divano a nutrirsi di social con in tasca i soldi del Reddito di cittadinanza. La foto di gruppo dei giovani italiani rilanciata dalle analisi economiche e sociali che scandagliano il mondo del lavoro assomiglia sempre più spesso a questo quadretto, molto sommario per la verità ma ormai entrato nell’immaginario collettivo, soprattutto dopo i due anni più duri della pandemia.

Ma loro, i giovani, cosa rispondono? La Nuova ne ha intervistati una decina fra i 16 e i 30 anni. Eloquio sciolto, idee piuttosto chiare sul rapporto fra neo-adulti e lavoro pur nella inevitabile diversità che contraddistingue un labirinto di esperienze acquisite o ancora in formazione, dove si incrociano percorsi segnati da preferenze e ambizioni individuali, contesti familiari e sociali variegati, provenienze geografiche e culturali che condizionano modi di vivere e di pensare, storie personali che confluiscono poi nella grande babele dei social.

Quasi tutti gli intervistati respingono l’immagine del giovane “sdraiato” e spiegano il perché. Il mondo che descrivono è molto più complesso di quello racchiuso fra un divano, un cellulare e il Reddito di cittadinanza, che il governo peraltro ha già iniziato a smantellare. Ed è uno scenario che si presenta con più di un risvolto. Precariato, stipendi che non garantiscono indipendenza economica, lavori sottopagati o svolti senza tutele, oppure semplicemente non pagati, sussidi pubblici ridotti all’osso o inesistenti, carenza di opportunità e di scelte alternative al lavoro manuale.

Il risvolto della medaglia è che chi può essere mantenuto dalla famiglia può usare questo paracadute per «evitare le responsabilità e tenersi le mani libere», come raccontano due studentesse di Unife, Olga Grinzato e Giulia Borotto. Entrambe iscritte a Scienze dell’educazione ma con esperienze diverse all’attivo. Olga ha lavorato come animatrice e ha molte amiche che studiano e lavorano, retribuite. «Ammetto però – conclude che non mi piacerebbe lavorare in un bar».

La ristorazione è uno dei settori che più soffre l’allontanamento dei giovani. Per molti è un impiego «faticoso e stressante», come precisa Monica Chiozzi, 20 anni, che è stata assunta in un bar del centro storico. «Lo stipendio? – risponde – Io non mi lamento, si lavora molte ore è vero ma il lavoro mi piace. So che comporta sacrifici e io sto cercando di rendermi indipendente dalla famiglia». L’urgenza di rispondere velocemente alle molteplici richieste dei clienti, ribadisce, è uno dei motivi – osserva – che spinge alcuni a rifiutare questi impieghi. Ce ne sono altri. «Una parte di giovani – aggiunge Giulia Borotto, 19 anni – può permettersi di evitare il lavoro, almeno per qualche anno, e lo fa. Io ho deciso di pagare alcune spese in casa e di lavorare come cameriera. Lo faccio da un paio d’anni, nel week end, mentre proseguo gli studi universitari. Dietro certe scelte ci sono anche situazioni personali».

Maria Elena Mazzoni, 23 anni, laurea in Ingegneria biomedica, ha concluso il suo corso di studi dopo aver lavorato per associazioni e come barista e cameriera. «Ho avuto esperienze anche molto negative – sintetizza – contratti da 20 ore di lavoro che diventavano 30 o 40, c’è chi mi deve ancora dei soldi. Spesso non mi sono sentita tutelata». Certamente la soddisfazione cresce man mano che sale lo stipendio e che le mansioni si avvicinano al proprio spettro di interessi.

Andrea, 27 anni, lavora a Milano in un’azienda farmaceutica. «È un bel lavoro ma cerco di non fare straordinari, di mantenere libera una parte del mio tempo. Tutti i miei amici lavorano; a Parma, dove abito – ricorda mentre si concede una passeggiata in centro a Ferrara – molti diciottenni fanno la campagna del pomodoro e a fine stagione mettono insieme anche 4mila euro». Anche Eleonora Rubini è soddisfatta: ferrarese, 26 anni, dottorato in ginecologia, è volata a Rotterdam, in Olanda, dove «gli stipendi sono molto più alti che in Italia e vengono in qualche modo protetti dall’inflazione. Mi dicono che in Italia il lavoro è spesso sottopagato e che il livello dei prezzi ormai sta raggiungendo quello dei mercati del nord, Olanda compresa. E che qui il precariato rappresenta un altro problema». L’amico Alexander, 27 anni, bulgaro, lavora nel campo della finanza, anche lui in Olanda, ma ha svolto incarichi anche per una grande ditta di spedizioni: «Non lo rifarei – commenta – è un lavoro che dà poche soddisfazioni. In Olanda, se studi e lavori, hai a disposizione dei sussidi, puoi pagare l’affitto, è un aiuto. In generale direi che i giovani sono oggi più attenti a equilibrare lavoro e svago».

Joselina, 22 anni, viene dalla Repubblica Domenicana e sudia disegno del prodotto industriale. «La pandemia ha avuto un peso nelle scelte attuali dei giovani – questa la sua valutazione – In Italia, purtroppo le opportunità sono minori che altrove, difficilmente riesci ad avere ruoli che si avvicinano al tuo campo di studi. Gli stipendi non sono adeguati , così molti impieghi diventano frustranti. Il salario minimo? Aiuterebbe».

C., 16 anni, frequenta le superiori ma si sta attrezzando per entrare nel campo delle traduzioni/trascrizioni on line: «Le chiedono molti Youtuber, gli orari sono elastici e si può ricavare un buono stipendio». Francesca, 23 anni, laureata in fisica, attacca «l’apprendistato pagato a 6-800 euro al mese. Questo non è un Paese per laureati, anche il dottorato viene retribuito con 1.200 euro. Una miseria». Matilde Morelli, 24 anni, laureata (psicologia/psichiatria), stronca i «tirocini, qui, se aggiungi la specializzazione, passi anni a studiare e se vuoi mantenerti al passo non riesci a lavorare perché se allunghi il tempo passato nell’università ne risente il curriculum. Il precariato, inolte, è sempre in agguato. All’estero si riesce a studiare, a lavorare e a mantenersi più facilmente». Che all’estero la vita di un giovane sia più agevolata lo ripete anche Francesca Punzetti. Gaia, 21 anni, lavora in un cinema di Cento e studia comunicazione: «Il lavoro part-time è una buona soluzione. Così posso togliermi qualche sfizio». 

Gi.Ca.

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