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Il granchio blu è Treccani dop. Entra nel Libro delle parole 2023

Fabio Terminali
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L’Istituto della Enciclopedia italiana lo ha scelto tra i neologismi dell’anno

20 gennaio 2024
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Goro È molto meno fashion di “armocromia”. Realisticamente più zoomorfo di “underdog”. Ed è improbabile che appartenga a una “famiglia queer”. Ma al pari di questi tre coinquilini – la compagnia è piuttosto imprevedibile – anche il “granchio blu” è tra i termini che sono stati inseriti nel Libro dell’Anno 2023 edito dalla Treccani. Quale onore per il killer delle vongole. Riemerso vorace dai fondali per attaccare l’oro della Sacca, è poi finito a galleggiare suo malgrado sulle tavole, ma anche stampato nella pagina buona dei neologismi dopo aver fatto il cattivo nelle cronache giornalistiche.

Il nemico Sì, se ne sono accorti a Goro e dintorni. Il 2023 non è stato l’anno del granchio, troppo banale, bensì quello del granchio blu. Che poi sarebbe, questa è la definizione marchiata a caldo, il “nome corrente di un crostaceo decapode caratterizzato dalla tipica colorazione, appartenente alla famiglia dei Portunidi, che si è diffuso accidentalmente oltre gli habitat originari delle due specie note (le sponde occidentali dell’Oceano Atlantico e il bacino del Mar Rosso), giungendo a infestare le coste dal Mare del Nord al Mediterraneo”.

Un simbolo E allora avanti, con la certificazione Dop Treccani. Fate spazio a sua maestà callinectes sapidus. Gente di una certa Kual Kultura, direbbe Stefano Benni, quelli dell’Istituto della Enciclopedia italiana. Più avvezzi a coniare parole che a pescare nella notte il nulla del seme delle vongole che resta dopo l’avvento animalesco del nemico alieno. Non bastavano gli chef stellati che vergano ricette prelibate, infarcite con prezioso blue crab. Negli spaghetti, tra le linguine, assieme ai paccheri. Adesso è l’ora degli eruditi della lingua che attestano le nuove tendenze, quei fenomeni sociali e culturali che lasciano un’impronta e si trasformano in simboli lessicali di uso comune.

Quante perle Che poi, in fondo, fatti due conti, il granchio blu in questo album non sfigura affatto. In un 2023 (la parola dell’anno è “femminicidio”) che ci ha regalato altre perle come “digiuno intermittente” e “decarbonizzarsi”, poi il cinematografico “barbienheimer”, gli iperpolitici “bonacciniano” e “schleiniano”, anche l’immaginifico “deinfluencing” e il meteorologico “downburst”, su cui ha premuto l’accresciuta sensibilità della pubblica opinione verso i cambiamenti climatici. Tendenza che riguarda anche il granchio blu. Come noto, e la stessa Treccani non manca di ricordarlo, “questa specie è originaria delle coste atlantiche americane e partendo da qui recentemente invaso le principali aree di produzione dei molluschi bivalvi dell’Adriatico, con severi impatti ecologici ed economici nelle regioni del Veneto e dell’Emilia Romagna”. Un dramma ben conosciuto dalle nostre parti, tuttora irrisolto: una calamità per la quale gli allevatori di vongole reclamano interventi. Al netto dei neologismi o delle prime pagine del New York Times (nel 2023 è arrivata pure quella).

Tra un secolo «Quando tra decine, o magari centinaia di anni – ha commentato la linguista Vera Gheno –, gli esseri umani del futuro consulteranno le parole nuove di quest’anno, non metteranno in dubbio che vivessimo in un’epoca percorsa da mille inquietudini. E magari sorrideranno pensando alle cose sulle quali ancora ci accapigliavamo».

Decine d’anni, forse secoli. Chi lo sa. A Goro, dove si trema, si guarda più terra terra a un 2024 che possa far arretrare quel maledetto granchio nel chiuso di un tomo d’enciclopedia, una di quelle che ben difficilmente si vendono ancora.