La Nuova Ferrara

Ferrara

Lavoro a rischio

Dosso, con gli operai davanti ai cancelli: «Per l’azienda siamo inutili»

Alessandra Mura
Dosso, con gli operai davanti ai cancelli: «Per l’azienda siamo inutili»

Sciopero e presidio alla Tecopress contro i 72 licenziamenti annunciati. Le voci: «Volevo sposarmi, ora è tutto incerto». «Tra poco sarò papà, ma senza sicurezze»

30 gennaio 2024
5 MINUTI DI LETTURA





Dosso Chi alla Tecopress lavorava da decenni è sprofondato nel limbo dei troppo vecchi per essere assunti e troppo giovani per la pensione; e chi invece pochi mesi fa aveva ottenuto l’agognato contratto a tempo indeterminato è finito sulle montagne russe: «Assunti a settembre, buttati fuori a gennaio».

Era una calma gonfia di rabbia e delusione quella che si respirava ieri alla prima giornata di sciopero alla Tecopress, con un presidio articolato in tre fasce orarie, una per ciascun turno di lavoro, con la presenza media di una cinquantina di partecipanti per ogni “blocco”. L’azienda ancora non ha fatto sapere quali saranno i 72 lavoratori (su 160) che intende licenziare «ma in azienda oggi non ci ha messo piede nessuno, siamo tutti uniti». La direzione tace sulle mosse future, e a temere più di tutti di ricevere la lettera di licenziamento sono le donne che si trovano in condizioni di salute critiche rispetto alle mansioni da svolgere.

Franca Rana lavora alla Tecopress da 34 anni e per andare in pensione ne mancano («così dicono») nove: «Questo è il mio posto – rivendica – Come altre colleghe ho limitazioni fisiche per svolgere compiti pesanti, e siamo state definite incollocabili». Anni in fonderia hanno provocato ernie, mal di schiena e altri malanni «e l’azienda ha assunto squadre di giovani. Ma un colosso del genere non può pensare di andare avanti mantenendo solo 80 addetti». C’era aria di crisi, come in altre realtà, soprattutto da quando un grosso cliente austriaco si è defilato, e le commesse hanno conosciuto un drastico calo: «Ma non ci aspettavamo una cosa del genere».

Nei suoi quasi 29 anni trascorsi alla Tecopress, Cristina Ferioli, 51 anni, mamma di due figli, ha fatto tutti i reparti. «Quando lavoravo alla “conchiglia” dovevo versare l’alluminio fuso da un pentolone negli stampi. Poi quando hanno chiuso il reparto ci è stato proposto il trasferimento “volontario” (l’alternativa era la mobilità) al ciclo flessibile. Dopo anni di lavoro pesante il medico aziendale ha stabilito che non possiamo spostare pesi superiori ai dieci chili, e adesso non serviamo più». Una paura collettiva, che fa male ancora di più pensando «ai giorni del terremoto, quando siamo venute a lavorare con le macerie, e spostavano con le nostre mani i vetri rotti – interviene Rossella Tartari, 60 anni, 24 dei quali passati alla Tecopress, monoreddito e con una figlia che studia all’università –. Ho due malattie professionali, con problemi alle mani che non mi sono certo procurata facendo i cappelletti. Quindi per questi “tagliatori di teste” adesso non sono più utile».

Anche Luana Ravanelli può contare unicamente sul suo reddito: «Sono stata assunta il 1º giugno 1997, ho 52 anni, sono separata da poco e ho un mutuo da pagare. Per fortuna mio figlio è già grande e indipendente, ma le fatture e le rate le devo pagare, le scadenze le devo rispettare. Se perdo il lavoro non so come sarà il domani».

Gino, racconta, ci è già passato una volta attraverso il trauma del licenziamento, e in questi giorni sta rivivendo un incubo: «Era già successo 16 anni fa. Allora lavoravo in una fabbrica di marmitte e ci hanno messi a casa. Allora mi sono reinventato come piccolo artigiano tuttofare: serrature, serramenti, restauro legno, ma venivo sempre pagato con ritardi spaventosi. Poi due anni fa ho presentato domanda qui e mi hanno preso in fonderia, mi sembrava finalmente di avere un posto sicuro, invece a 59 anni mi ritrovo a ricominciare daccapo».

A essere spiazzate sono anche le generazioni più giovani, quelle arrivate anni dopo il sisma che ha portato morte e distruzione, ma ha poi garantito alla stessa azienda consistenti aiuti pubblici. Ecco allora, accanto ai “veterani”, i neoassunti. Antonio Pietoso, 30 anni, contava di sposarsi ma dovrà mettere in pausa i preparativi del matrimonio: «Sono arrivato nel 2022 con un’agenzia interinale e a settembre sono stato assunto a tempo indeterminato. Quasi quasi mi conveniva restare con l’agenzia, perché se perdo il lavoro perdo anche la priorità. Vengo da Napoli, ho fatto tanti sacrifici per avere un po’ di sicurezza, perché vorrei una famiglia. Adesso queste speranze le vedo morire».

Per Giuseppe Abruzzese la gioia di diventare presto papà si è scontrata con la decisione aziendale che ha portato via ogni sicurezza. Marco De Marco, 40 anni, è arrivato nel 2017, ora è capoturno del reparto produzione, e pensava di aver raggiunto quella stabilità necessaria a mantenere la sua famiglia: «Ci tengo al mio lavoro, non solo perché mi dà uno stipendio, ma anche perché mi appassiona».

Al presidio c’era anche Paola Boldrini, della segreteria comunale del Pd: «Sono qui per esprimere vicinanza e solidarietà, perché conosco il territorio e conosco molti di questi lavoratori. Anche la proprietà appartiene a questo territorio, e non posso credere che non si preoccupi delle tante famiglie che vivono qui, c’è una responsabilità sociale e d’impresa che non può essere ignorata. Sono sicura che la Regione farà la sua parte».

Enea Prifti, 52 anni, albanese con figli nati in Italia e che ancora studiano si dice «perso e deluso. Sì, era stata attivata la cassa integrazione, ma eravamo tranquillissimi, l’incontro di giovedì doveva servire a prorogare l’ammortizzatore sociale, l’annuncio dei 72 licenziamenti è stato un fulmine a ciel sereno». Fabrizio Cattani è un “colletto bianco”, e sta lavorando a un progetto gestionale, «che ha l’obiettivo di migliorare il lavoro in azienda. Per settimane, per mesi, ai corsi di formazione ho detto ai colleghi che la situazione in azienda sarebbe migliorata, e oggi mi sento mortificato e imbarazzato».