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La testimonianza

Ferrara, Sara Corcione racconta l’omicidio: «Non lo so se sono pentita»

Ferrara, Sara Corcione racconta l’omicidio: «Non lo so se sono pentita»

Ieri sentita la donna a processo per aver ucciso la madre avvelenandole il te. Secondo il consulente di parte le mancava totalmente la capacità di volere

15 febbraio 2024
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Ferrara A un certo punto si è fatto silenzio per quasi un minuto. Nell’aula B del tribunale di Ferrara si sentiva solo il ronzio dei vecchi condizionatori, il suono prodotto dallo sfregare dei vestiti nei piccoli spostamenti, il respiro sospeso dei presenti. Gli sguardi fissi su Sara Corcione, seduta al banco che accoglie testimoni e imputati, che stava riflettendo. Ha pensato a lungo a quale risposta dare alla domande postagli dall’avvocato Fabio Anselmo: si è pentita di quello che ha fatto, di aver ucciso sua madre?

Dopo quel silenzio, dopo un primo mormorio d’incertezza, la donna accusata dell’omicidio aggravato e premeditato di Sonia Diolaiti, ha risposto «sì». Nessuno ci ha creduto. Quando la presidente della corte d’assise, la giudice Piera Tassoni, le ha chiesto come mai, allora, ci aveva messo così tanto a rispondere, Sara Corcione ha risposto «ci ho pensato tanto perché non lo so sono pentita».

La sua è stata una deposizione all’insegna dell’onestà più totale. Si è percepita la sua condizione di fragilità, di sofferenza esistenziale, e anche il suo parlare è stato sempre chiaro, il suo ricordo quasi sempre preciso al dettaglio. Quando la pm Ombretta Volta le ha fatto una domanda sulle sue finanze e su una carta bancomat il suo racconto è durato diversi minuti, ininterrotto: quella carta bancomat, che per lei significava una maggiore libertà, era anche il simbolo della sua vita ristretta, controllata, frustrata da una madre che, almeno nella sua percezione, era sua nemica, che non si interessava a lei ma si interessava a che non scialacquasse il patrimonio di famiglia. Parlava, come una persona che non aspettava altro, di potersi raccontare a qualcuno disposto ad ascoltare. Così è stato anche per le domande rivoltegli dai suoi difensori, gli avvocati Antonio Cappuccio e Tiziana Zambelli, volte a ricostruire l’ambiente familiare. C’era però da far conoscere dalla sua viva voce il fatto per il quale è a processo, l’omicidio della madre. Corcione ha ribadito di aver comprato un anno prima del fatidico fine luglio del 2022 il nitrito di sodio usato per avvelenare il tè alla pesca che la madre aveva conservato in frigo, e poi una maschera antigas, per evitare eventuali fumi. Usò la carta di credito della madre, approfittando del fatto che lei fosse in vacanza a Pantelleria, così avrebbe potuto intercettare l’estratto conto ed evitare domande e accuse. La signora Diolaiti stette male ad aprile. La figlia pensò «stai a vedere che muore di morte naturale, così abbiamo risolto il problema». Non morì e il problema rimase. Per risolverlo si decise ad avvelenarla con il nitrito (aveva preso anche dell’arsenico, ma aveva pensato anche di comprare del cianuro, poi scartato perché troppo pericoloso) che aveva letto essere stato usato da dei giovani per suicidarsi durante la pandemia e usato anche da un ragazzo che voleva uccidere i genitori a Casalecchio di Reno. A maggio fece delle prove mescolando il nitrito in acqua, nel balcone dell’appartamento di via Ortigara, all’aria aperta.

Quattro o cinque cucchiaini. La madre tornò da una vacanza, bevve il tè, «mi chiamò verso mezzanotte, aveva la voce debole, mi chiese di andare da lei per chiamare la guardia medica. Le risposi che sarei andata». Non andò, «avevo paura». Rimase un po’ a guardare se sarebbe arrivato qualcuno, poi «ho spento tutto e sono andata a letto». Dormì tutta notte «come mai prima». Il giorno dopo capì, «pensai: è il caso che vada in caserma». Allertati da un’amica della madre, arrivarono prima i carabinieri da lei.

Nella prossima udienza saranno sentiti i consulenti psichiatrici della procura, Luciano Finotti, e delle parti civili Paolo Verri (per gli avvocati Fabio Anselmo e Silvia Galeone). Ieri il consulente della difesa, Michele Pavanati dell’Ausl di Ferrara, ha spiegato perché secondo lui in Corcione, affetta da un disturbo paranoide mai davvero trattata a dovere, mancasse la capacità di volere. La difesa si è riservata di richiedere una perizia. l

Daniele Oppo

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