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L'inchiesta

Tragedia all'ospedale Maggiore, imputazione coatta per il medico: «Colpa nella morte di Riberti»

Daniele Oppo
Tragedia all'ospedale Maggiore, imputazione coatta per il medico: «Colpa nella morte di Riberti»

La decisione del gip di Bologna, archiviata la posizione di un’infermiera

15 febbraio 2024
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Ferrara Imputazione coatta. La giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna, Mara Cristina Sarli, ha sciolto la riserva e disposto l’imputazione per omicidio colposo a carico del medico Mauro Righi, responsabile del reparto di Otorino dove era ricoverato Leonardo Riberti, il 21enne ferrarese deceduto a seguito di un volo da un tetto dell’ospedale Maggiore di Bologna.

La tragedia avvenne verso le 5 del mattino del 21 giugno del 2022. Riberti, in un tentativo di fuga dall’ospedale, dovuto probabilmente a uno stato di alterazione psichica, si gettò a testa giù, come per tuffarsi.

Si tratta di un passo molto importante e di una prima vittoria della famiglia Riberti, assistita dall’avvocato Fabio Anselmo, perché la procura di Bologna aveva invece chiesto l’archiviazione per il medico, ritenendo che l’unica responsabilità fosse da individuare nella responsabile del servizio psichiatrico dell’Ospedale Sant’Anna di Cona, la professoressa Maria Giulia Nanni (assistita dall’avvocato Michele Ciaccia e già prosciolta da ogni accusa)

. «Le investigazioni difensive si sono rivelate fondamentali, la morte del giovane Leo Riberti esige giustizia», afferma Anselmo.

Nessuna responsabilità, invece, a carico di un’infermiera del reparto di Otorino, di guardia quella notte e assistita dall’avvocato ferrarese Marco Linguerri: secondo il gip non aveva né le competenze né aveva autonomia valutativa diagnostica e medica per tutelare adeguatamente Riberti. «In vicende di questo genere non si può mai gioire ma, con profondo rispetto per la tragedia che fa da sfondo a questo processo, sono molto soddisfatto per l’archiviazione della mia assistita e che la sua posizione sia stata finalmente chiarita», dichiara il legale.

Il tribunale felsineo ha in sostanza recepito la linea delle persone offese, che avevano fatto opposizione alla richiesta di archiviazione: era il dottor Righi a dover tutelare la vita del giovane Riberti e invece ha proceduto «sottovalutando le condizioni del ragazzo». Che queste fossero particolarmente delicate e imponessero una sorveglianza era insito nella patologia indicata dalla Nanni nella lettera di accompagnamento: Riberti era stato ricoverato per «scompenso psichico in disturbo della personalità e abuso di sostanze» ed era stato mandato al Maggiore per effettuare un’operazione di estrazione di una pedina da gioco ingerita dal ragazzo e rimasta incastrata tra la gola e l’esofago. Il termine “scompenso”, specificò la Nanni nella sua difesa e ribadisce il gip, indica «una condizione acuta di patologia, di conseguenza tale informazione era insita nel termine scompenso». Inoltre, «che Righi fosse consapevole della necessità di coinvolgere uno specialista psichiatra emerge anche dal fatto che egli stesso avesse tentato di contrattare lo psichiatra di turno anche se - dopo il primo tentativo non andato a buon fine - non aveva proseguito nella ricerca. Allo stesso modo indicava agli infermieri alcune cautele da adottare a seguito di una precedente fuga dalla stanza del paziente che riferiva di aver avuto degli incubi».

Ecco perché il tribunale ravvisa «un profilo di colpa professionale nel mancato coinvolgimento di uno specialista in psichiatria nel trattamento del paziente», che avrebbe potuto dare tutte le indicazioni utili per il suo trattamento e per la sua salvaguardia a fronte di «un rischio prevedibile».

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