La Nuova Ferrara

Ferrara

Il caso

Ferrara, rivolta in carcere per il lockdown. A processo oltre trenta detenuti

Daniele Oppo
Ferrara, rivolta in carcere per il lockdown. A processo oltre trenta detenuti

I fatti nel marzo 2020. Accuse di incendio, danneggiamento e resistenza

23 febbraio 2024
4 MINUTI DI LETTURA





Ferrara C’era chi incitava, chi dava indicazioni su cosa fare e chi materialmente spaccava le cose o appiccava dei roghi, chi si auto infliggeva del male, chi se la prendeva con le guardie e chi, più semplicemente, partecipava con urla. Per la rivolta avvenuta nel carcere di Ferrara tra l’8 e il 9 marzo del 2020 sono 37 le persone per le quali la procura ha chiesto il processo, aperto ieri davanti al giudice dell’udienza preliminare Carlo Negri. Si dovrà però aspettare fino a ottobre per iniziare veramente: i difensori, infatti, non hanno avuto materialmente la possibilità di visionare i numerosi filmati delle telecamere interne del carcere che costituiscono, di fatto, la prove principali sulle quali è stata imbastita l’indagine e la successiva accusa. Nel frattempo ieri il ministero della Giustizia, pur individuato come parte offesa, non si è costituito parte civile, almeno per ora. Ci sono stati anche degli stralci: alcuni imputati sono risultati irreperibili, altri espulsi dal territorio nazionale e uno è deceduto.

Tra gli imputati ci sono anche alcuni soggetti noti alle cronache strettamente ferraresi. Tra loro, ad esempio, Glory Egbogun, 31enne nigeriano noto come “Omomo” coinvolto nel famigerato agguato con machete di via Olimpia Morata e membro dei Vikings, il “cult” considerato un’associazione mafiosa anche dalla relativa sentenza del tribunale di Ferrara. A lui è contestata solo la partecipazione alla rivolta, ma non gli viene imputata alcuna condotta particolare, come invece accade per altri.

C’è anche, sempre rimanendo in ambito estense, uno degli cosiddetti “amici di Igor”, Afrim Beizaku, 41enne appartenente al gruppo che venne sospettato di aver dato ospitalità al killer Norber Feher. Nemmeno a lui sono contestate condotte particolari. Altra conoscenza delle cronache ferraresi è Rimi Mezani, 50enne che fu il primo imputato e condannato a Ferrara per l’allora appena introdotto reato di omicidio stradale. Secondo l’accusa, durante il secondo giorno di rivolta, vi partecipò istigando gli altri detenuti alla protesta indossando una banda posizionata sulla fronte. Tipo Rambo, per intenderci. Qualcuno ricorderà anche Nicola Di Rosalia, che venne condannato per un colpo a Tamara e poi indagato anche per delle rapine a Cento, ma conosciuto anche nel Modenese. Lui era uno di quelli che incitava, secondo l’accusa, e indicava dove appiccare il fuoco e faceva sapere agli agenti che quella sarebbe stata addirittura la fine dell’istituto penitenziario.

Secondo la procura - il fascicolo era del pm Fabrizio Valloni ed è passato alla pm Sveva Insalata - gli agitatori principali dei due giorni di rivolta furono 13 detenuti in tutto, sei il primo giorno e otto il secondo, dove però si ritrova uno dei “capi” della prima giornata: Fiore Ricci, 33enne sinti di Piove di Sacco, a Padova conosciuto come il terrore delle “nonnine al volante”, con alle spalle condanne per furti e rapine e che le cronache riportano avere aizzato già una rivolta nel carcere di Belluno negli anni passati, con tanto di minacce di morte a un poliziotto penitenziario.

Le accuse a vario titolo sono di danneggiamento (circa 14mila euro di danni), incendio, resistenza a pubblico ufficiale e per un imputato anche lesioni per aver fatto male a un poliziotto (10 giorni di prognosi) con il lancio di un bastone.

Quella del marzo 2020, tra prima, seconda, terza e sesta sezione dell’Arginone, fu una delle tante rivolte che si verificarono nelle carceri italiane quando venne attivato il lockdown per il Covid-19 e che fu molto pesante anche per i detenuti: erano presenti 371 detenuti a fronte di una capienza di 244, c’era la paura del contagio, i colloqui erano stati sospesi, c’erano voci di altre rivolte e ci fu sicuramente anche un fattore di emulazione. A differenza di altre realtà, pur essendoci stati roghi di letti, distruzione di finestre, lampade e suppellettili vari e molta agitazione, nel carcere estense la rivolta venne contenuta grazie a una forte attività di mediazione, senza arrivare a particolari episodi di violenza né da parte dei detenuti né nei loro confronti. Un merito che venne riconosciuto anche in una relazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA