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Ferrara: «farai la sarta», mandata in strada. Vittima della tratta parla in aula

Daniele Oppo
Ferrara: «farai la sarta», mandata in strada. Vittima della tratta parla in aula

La difficoltosa testimonianza di una ragazza nigeriana. In due a processo

21 marzo 2024
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Ferrara La barriera della lingua, la soggezione che fa trovarsi a parlare in un’aula di tribunale, il tempo che erode qualche ricordo, forse anche la paura che qualche cosa di brutto possa accadere, che il passato si ripresenti col conto in mano. Venticinquemila euro, il debito contratto dalla famiglia di una ragazzina nigeriana, oggi 26enne, portata dal quel Paese dell’Africa in Italia, con la promessa di lavorare come sarta e di un futuro migliore e poi mandata a prostituirsi in strada, per ripagare le spese di viaggio - con una terribile tappa in Libia - e quelle di vita nella nuova casa. Un debito mai ripagato, alla fine, ma sigillato con il classico rito vudù che vincola spiritualmente il debitore e materialmente la sua famiglia, che pagherebbe le conseguenze del mancato saldo.

Ieri la vittima della tratta è stata sentita come persona offesa nel processo che vede alla sbarra una coppia di suoi connazionali, accusati di essere i suoi aguzzini a Ferrara, coloro che le davano ospitalità, che l’avevano istruita al lavoro di strada e che le chiedevano i soldi guadagnati ogni giorno e notte passati a dover vendere il proprio minuto corpo.

È una ragazzina ancora oggi e dopo 8 anni in Italia ancora capisce e parla poco l’italiano. Qui a Ferrara, tra 2016 e 2017, è stata portata dopo l’approdo in Sicilia e due tappe intermedia (in Liguria e, sembra, a Milano).

È stata portata coattivamente, accompagnata dai carabinieri del paese dove oggi vive con due figli piccoli. Le altre volte non si era presentata, ieri ha fatto molta fatica a parlare, al limite della reticenza, non solo per la difficoltà a capire le domande del pm Ciro Alberto Savino e della presidente del collegio giudicante Piera Tassoni, ma anche, così è sembrato, per la paura di dire qualcosa di sbagliato verso quelle due persone sedute a pochi metri da lei. Le cose sono cambiate, in maniera anche abbastanza radicale tutto sommato, quando il tribunale ha deciso di chiamare un interprete che sembra aver avuto la doppia funzione di renderle più chiare le domande e di farle da schermo fisico con gli imputati, forse restituendole un certo grado di serenità.

Non tutto ha trovato puntuale riscontro nelle parole rilasciate ieri, non tutto il racconto reso al tempo alla Squadra mobile, in maniera parecchio dettagliata, le è tornato con precisione alla memoria - un dettaglio su tutti: il soprannome (Stella) della donna che la ospitava, imputata per lo sfruttamento della prostituzione insieme al compagno - ma rispetto a come l’esame era iniziato, il cambiamento è stato notevole. Ha ricordato, ad esempio, che era stata quella donna ad accompagnarla in treno le prime volte a Borgo Panigale, nel territorio di Bologna, e spiegarle dove prostituirsi, dandole inizialmente anche i preservativi, che poi comprava in autonomia con quel poco di soldi che teneva.

Ha raccontato poi di quando l’uomo l’ha accompagnata a fare domanda di protezione internazionale e di come la storia personale che doveva raccontare alla commissione l’aveva preparata la sua padrone di casa: «Ma non era la mia storia». Ha raccontato poi di come si rivolse al Centro donna e giustizia, «perché ero stanca».

Il processo riprenderà il 17 ottobre. 


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