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Il caso

Ferrara: in carcere fu tortura, stangati

Daniele Oppo
Ferrara: in carcere fu tortura, stangati

Condannati a 7 anni e mezzo di reclusione due poliziotti penitenziari dell’Arginone. Nel settembre 2017 pestarono un detenuto e lo lasciarono nudo e ammanettato in cella

10 aprile 2024
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Ferrara Sette anni e mezzo di reclusione per entrambi. Oltre al risarcimento del danno, da pagare insieme al Ministero della Giustizia, con una provvisionale fissata in 50mila euro. È una condanna severa quella che il tribunale in composizione collegiale ha inferto all’ex sovrintendente della Polizia penitenziaria Geremia Casullo, oggi in pensione, e per l’assistente capo Massimo Vertuani, finiti a processo con l’accusa di aver torturato, pestandolo, e calunniato (con un verbale falso in cui lo accusavano di resistenza) il detenuto Antonio Colopi il 30 settembre del 2017, ristretto al tempo nel carcere di Ferrara per l’omicidio dello chef Ugo Tani, commesso a Cervia nell’aprile del 2016. Quella ferrarese fu la prima indagine sul reato appena introdotto nell’ordinamento italiano.

La pm Isabella Cavallari aveva chiesto pene a 6 anni e 5 mesi e 6 anni per Casullo e Vertuani.

Secondo la Procura e da quello che è emerso dalle indagini condotte dal Nucleo investigativo dei carabinieri, oltre che dal racconto di Colopi, Casullo e Vertuani furono i primi ad aggredirlo, anche con l’uso del ferro di battitura (ma su questo una perizia medico legale eseguita dalla dottoressa Rosa Maria Gaudio ha escluso che sia stato un oggetto usato per colpire) e sotto la minaccia di un coltellino. Poi si aggiunse anche Licari. Colopi era un detenuto difficile, con già dei precedenti per danneggiamenti e resistenza, sottoposto a terapia farmacologica, e da alcuni giorni in sciopero della fame. Proprio la sua problematicità è stata forse la “causa” (o il movente, si potrebbe dire) della condotta degli imputati.

Il fatto avvenne nella cella numero 2 della sezione Nuovi giunti dell’Arginone. Da quanto appurato, Casullo di sua iniziativa avrebbe ideato un’ispezione alla Nuovi giunti e dopo essere entrato nella cella di Colopi, lo avrebbe fatto denudare per poi picchiarlo, anche con l’uso di un oggetto contundente, in ipotesi il ferro di battitura, ma probabilmente un’altra “arma”. Licari e Vertuani avrebbero fatto inizialmente da palo per poi usare anche loro violenza sul detenuto, che alla fine venne lasciato ammanettato (e da quanto emerso le manette non vengono usate all’interno del carcere), insanguinato e seminudo in cella: così lo trovò poi il medico in servizio, Giada Sibahi.

«I fatti sono stati provati con un dibattimento attento e completo - afferma l’avvocata Paola Benfenati, che ha assistito Colopi come parte civile -. Un dato che risalta è stato condannato in solido con gli imputati anche il ministero della Giustizia del quale avevo chiesto la chiamata in causa come responsabile civile». Prima del deposito di una memoria in extremis, il ministero non ha mai partecipato al dibattimento. «Siamo rimasti sorpresi, eravamo convinti in un esito positivo, ora attendiamo le motivazioni e poi faremo appello», è il commento dell’avvocato Alberto Bova, che difende i due poliziotti.

Condannata per falso a un anno, con pena convertita in una multa di 7.300 euro, e a risarcire l’imputato con 5mila euro, l’infermiera Eva Tonini (assolta dall’accusa di favoreggiamento) che avrebbe riportato falsamente nel diario infermieristico di aver trovato Colopi che sbatteva la testa contro il portoncino della cella la mattina del 30 settembre, prima del blitz di Casullo. «Alla fine è rimasta solo l’imputazione meno grave sulla quale ritengo ci siano margini per l’appello. L’obiettivo è passare a un’assoluzione completa», commenta a margine l’avvocato Denis Lovison. 


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