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Ferrara, con invalidità e senza casa: «Non voglio elemosina ma dignità»

Alessandra Mura
Ferrara, con invalidità e senza casa: «Non voglio elemosina ma dignità»

Da gennaio aspetta il reddito di inclusione tra mille intoppi

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Ferrara La sua vita è stata attraversata da dolore e violenza, ma non ha mai perso un profondo senso di dignità e la volontà di essere riconosciuta e rispettata «come persona, senza etichette». Nata donna in un corpo maschile, Nina a diciotto anni è scappata dal suo Paese, l’Argentina, dove già si respirava aria di dittatura e da una famiglia che rifiutava la sua condizione. Ora Nina di anni ne ha 70 e un’invalidità del 75% dopo aver trascorso un’esistenza nomade tra Spagna e Italia, con un “randagismo” che le è rimasto nel sangue e che l’ha portata a cambiare spesso città e destinazione.

Il suo ultimo approdo è stato Ferrara, dove ha anche dormito sulle panchine dei giardini Cavour ed è stata poi “adottata” dai volontari dell’associazione Un Tetto di Cuori, che le stanno garantendo un alloggio e la stanno aiutando a ottenere il reddito di inclusione, dopo che le è stato tolto quello di cittadinanza. Un affetto e un’attenzione che la commuovono e insieme la umiliano e da cui è fuggita già più volte: «Nella mia vita sono spesso scappata dal male, ora sono scappata dal bene», spiega. Perché «io non ho mai commesso reati, non bevo, non mi drogo, non mi sono mai prostituita, ho cominciato a lavorare a otto anni e ho svolto le mansioni più disparate per mantenermi. Eppure per lo Stato non esisto, ora che sono in difficoltà ho avuto giusto la fortuna di imbattermi per puro caso in questi volontari che mi stanno aiutando. Ma se mi guardo indietro vedo tante altre persone che stanno peggio di me e sono abbandonate a se stesse. E allora mi chiedo: perché io sì e loro no? Io non voglio essere un peso per nessuno, non voglio regali, voglio che ci sia giustizia sociale».

In Argentina è cresciuta «senza un’educazione, senza poter studiare né capire chi fossi». A otto anni già lavorava, da adolescente scappava di casa ed è stata arrestata più volte per vagabondaggio e in carcere ha subito abusi.

«Mia madre voleva che mettessi una divisa perché “fossi un uomo”, voleva iscrivermi alla famigerata Esma (il centro militare clandestino dove in seguito furono sequestrati oltre 5mila oppositori della dittatura ndr), allora con i soldi che avevo messo da parte mi sono procurato quanto occorreva per venire in Italia». Qui Nina cambia spesso città e occupazione: lavora in miniera, nelle pulizie, nei ristoranti, come camionista e giardiniere, ma il suo bagaglio di traumi e incompiute non la abbandona mai: «Se perla strada sentivo un bambino piangere, mi veniva un attacco isterico, se qualcuno mi dà una pacca sulla spalla amichevole rischia di prendersi un pugno. A livello economico me la cavavo, ma la testa era un disastro. È la violenza che ti rovina, avrei potuto diventare un tossico, un alcolista, ma avevo visto in famiglia come ti riduce il bere, e sono praticamente astemia. E ho il terrore degli aghi. E soprattutto detesto le dipendenze».

Dopo l’attacco nel 2001 alle Torri Gemelle, Nina sente però l’impulso di tornare dai suoi, in Argentina. Dove resta sconvolta dallo stato di povertà che incontra: «Non riuscivo nemmeno a mangiare, sono tornata in Italia lasciando là 14 chili di peso e le mie tre valige che ho regalato a chi ne aveva bisogno». Al rientro in Europa, due episodi segnano la sua esistenza. Un incidente in Spagna gli procura gravi traumi e una lunga convalescenza che minano la sua capacità di lavorare. Fa vita di strada, si iscrive all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero; poi torna in Italia, in Liguria, dove si sistema in una capanna costruita da lui stesso e che qualcuno poi distrugge dandole fuoco. Allora si sposta a Bologna, e qui il secondo episodio: la sua vita durissima le presenta il conto: ha un attacco cardiaco e al Sant’Orsola la operano impiantandole due by pass. Nina però a quel punto è un homeless e non ha lavoro: «Giravo in autobus, ho collezionato centinaia di multe». Ottiene il reddito di cittadinanza e fa domanda, invano, per un alloggio popolare. A complicare una situazione già complessa intervengono i labirinti della burocrazia: per una serie di errori e omissioni, spiega uno dei volontari di Un Tetto di Cuori, «Nina risulta sconosciuta all’anagrafe Inps, mentre per l’Ufficio atti migratori di Bologna risulta residente a Bologna. Ma i due enti non si parlano e Nina non intanto non può percepire l’assegno di inclusione di cui avrebbe diritto da gennaio. E se è per questo avrebbe anche diritto alla pensione e all’assegno di invalidità». È per questo che a Nina sta stretta anche la solidarietà di coloro che, ricambiati, le vogliono bene. Problemi che la stanno spingendo sull’orlo della disperazione, e da cui cerca riscatto con l’arte e la creatività: «Amo dipingere, disegnare, fare ceramiche, ma non vendo niente perché l’arte non è mercato ma obbligo sociale». Ora sta lavorando ad allestire un laboratorio teatrale, per uno spettacolo sulla vita di strada. Tutti parlano e parlano, ma i barboni chi li ascolta?».

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