Ferrara, botte e minacce di morte anche davanti alla polizia
Un uomo di 47 anni è stato condannato a tre anni di reclusione per maltrattamenti
Ferrara Un uomo di 47 anni è stato condannato ieri mattina dal Tribunale di Ferrara a tre anni di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della ex compagna, parte civile nel processo, assistita dall’avvocata Sara Bruno. I fatti contestati sono relativi al periodo 2019-2020, ma sono iniziati anche prima, dalla fine del 2018, e continuati fino al 2022. Un rapporto permeato dalla gelosia dell’uomo nei confronti della compagna, dalle precarie condizioni economiche - residenza in una casa Acer, il solo reddito era della donna, appena 250 euro di sostegni prima che riuscisse a trovare un lavoro, nessun contributo da lui - e poi dall’intervento dei servizi sociali che, vista la situazione, hanno preso in carico i due figli. Anni avvolti in un vortice di violenza terrificante. Come emerso nel corso del processo, i vicini sentivano spesso la donna gridare, implorare di smetterla, chiedere aiuto. Sentivano lui colpire, distruggere mobili, urlare insulti. Quando lei usciva a fare la spesa doveva tornare subito, non poteva tardare perché, se no, era evidente che si stesse frequentando con qualcuno e non poteva. Nell’agosto del 2019 intervenne la Polizia in casa dopo un litigio. Alla presenza degli agenti, la insultò e minacciò di morte: «Ti ammazzo, ti taglio la testa, ti spacco la faccia, appena la polizia va via ti ammazzo». Nello stesso mese sbirciò il cellulare di lei, vide delle foto scherzose con un ragazzo e la reazione fu una sequenza di minacce di morte: «Vi ammazzo, vi mischio le ossa, ti taglio la testa». Il giorno dopo le diede un calcio, la fece cadere, le rubò il cellulare e scappò. Quando arrivarono i carabinieri, qualcuno li avvisò che l’uomo stava cercando di rientrare in casa dalla finestra. La donna trovò lavoro come badante in provincia e stava fuori casa per cinque giorni alla settimana. Lui la prese malissimo: si era convinto che lei avesse una relazione con il figlio dell’anziana, la chiamava mentre lavorava e la minacciava. Quando lei tornò a casa un giorno, lui la minacciò: «Mangi per sei mesi con la cannuccia il semolino, ti mando in rianimazione. Se entri in casa non esci più, sei carne morta». La rinchiuse, poi andò in bagno e lei riuscì a scappare, trovare riparo dal vicino, anche lui minacciato. Intervenne la Polizia, lui scappò. Lei chiuse la casa e andò altrove. Lui rientrò aprendo una finestra. Arrivarono i carabinieri, qualcuno lo vide scappare con un grosso coltello. Mentre lei andava a lavoro, lui provava a intercettarla alla fermata dell’autobus. Andò a segno per due volte, in un’occasione le strappò la borsa, nell’altra le diede un calcio mentre salive sul bus. Poi un anno di stop, lontani fisicamente, ma con lui che si faceva sentire sempre, alla sua maniera. L’anziana morì e nell’ottobre 2021 lei tornò a Ferrara, convivenza forzata. A novembre trovò un altro lavoro e un letto in una struttura. Lui la fece licenziare dopo un anno e rimase senza posto in cui andare. Altro ritorno a casa: qualche giorno, poi la fuga al Centro Donna e Giustizia. Oggi ha ancora il terrore di ritrovarselo davanti.