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Il personaggio

Da Copparo a Vienna per incantare. Per Sara un sogno in punta di piedi

Alessandro Bassi
Da Copparo a Vienna per incantare. Per Sara un sogno in punta di piedi

La prodigiosa 18enne si è già brillantemente diplomata alla Staatsopera

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Copparo Sara Cani, la giovanissima che ha frequentato la scuola di ballo della Wiener Staatsopera si è brillantemente diplomata a fine giugno. Ora, a 18 anni appena compiuti, potrà intraprendere la carriera di professionista nel balletto.

I genitori, Arben e Sonila, si conoscono fin da ragazzi in Albania, poi sono venuti in Italia, e ora sono cittadini italiani.

Sara è la maggiore di tre figli. I suoi fratelli sono Anna di 13 anni ed Enea di 10. Inizialmente si erano stabiliti a Serravalle, poi si sono trasferiti a Copparo. Sara è nata a Ferrara. A 3 anni ha cominciato a seguire le lezioni di Federica Raminelli, che l’ha seguita anche a Copparo e l’ha idealmente accompagnata nella sua strada a Vienna, per diplomarsi come ballerina.

Sara è una bellissima ragazza alta e slanciata, che ti guarda negli occhi quando le parli, e risponde prendendosi sempre qualche istante per riflettere. E le risposte, considerando che vengono da una diciottenne, non sono mai banali. Cominciamo dall’inizio.

Tu hai frequentato le scuole primarie e le medie a Copparo. Poi il salto a Vienna. Come funziona quella scuola?

«È un’Accademia. Sei inserito in un gruppo e vivi il tuo percorso. Non è facile. Specie se lo fai a 14 anni. L’accademia è in pratica una sorta di ginnasio, con la differenza che la mattina sei completamente immerso nell’attività legata al ballo, dalla ginnastica alle punte, alla costruzione di un repertorio ai movimenti per il saggio finale. Con grande cura, molto seguiti dagli insegnanti, che fanno sempre in modo, quando costruiscono una coppia, di cercare di avere il massimo dell’equilibrio. Ma alla fine è un lavoro duro, che ti impegna fino in fondo e che ti chiede di mettere tutto nel percorso di crescita. E poi, naturalmente, il pomeriggio si va a scuola, il normale ginnasio. Ma dato che era a Vienna, ovviamente le lezioni sono in tedesco. Ma le istruttrici oltre al francese per la danza, usavano spesso l’inglese».

E dopo questa esperienza, tu in che lingua pensi?

«Gli inizi sono stati tremendi. Io non volevo smettere, ma da ragazzina, mai andata via di casa, la distanza era tremenda. Se non fosse stato per il Covid, non credo ce l’avrei fatta».

In che senso?

«Quando è scattato il lockdown ero nel momento di maggiore crisi. Sono tornata a casa alcuni mesi, ho capito che volevo a tutti i costi quella opportunità. E quando siamo rientrati in accademia, la distanza era ancora pesante ma sopportabile. Avevo di fronte un sogno da raggiungere, con tutte le mie forze».

Agli esami cosa portavate?

«Ci sono gli esami di Classica, di acting, poi ognuno prova un assolo, e un passo a due. E balli tradizionali. Poi dall’inizio alla fine dell’anno ho studiato la parte di Dulcinea, nel don Quixote. È un esame completo, molto difficile, in cui deve essere mostrata la tecnica. Poi va detto che abbiamo anche partecipato a delle opere. Particine, magari, ma in opere importanti e conosciute. Io ho interpretato una ballerina nel balletto Le Bajadere».

Il tuo percorso di interprete, il tuo ruolo nella interpretazione di un personaggio, quanto è realmente tuo e quanto invece è insegnato o importo dal coreografo?

«Io ascolto tutti, guardo tutti e poi ragiono autonomamente. Diciamo che in una interpretazione, il 50% è mio».

Odette, il cigno bianco. Odille il cigno nero. Quale interpretazione ti intriga di più?

«A me piacerebbe veramente tanto interpretare Kitri (nel Don Quixote ci sono diversi “quadri”; in uno di questi la giovane Kitri è innamorata di un giovane barbiere, ma il padre vorrebbe farla sposare a un ricco possidente). E poi ci sono tanti ruoli interessanti».

E adesso?

«Adesso comincio a cercare un lavoro come professionista, si mandano mail, si cerca una compagnia. In Italia c’è possibilità, ma io spero comunque di salire, magari di tornare a Vienna da professionista. Cercare il salto di qualità».

Al poeta latino Orazio imputavano di non aver compiuto imprese memorabili, tali da fargli erigere un monumento. Lui rispose che, grazie alla sua poesia, alla sua arte, non sarebbe mai morto del tutto. Tu, con la tua arte, il tuo balletto, pensi di poter dire, un giorno, che non morirai mai del tutto, che avrai lasciato una impronta?

«Credo che ci riuscirò».