Allarme lavoro a Ferrara, Fiom: «Ammortizzatori esauriti e 2680 in cassa»
Il segretario Bondi (Fiom): «Più Cig nel settore manifatturiero e piccole aziende artigiane senza più ammortizzatori sociali»
Ferrara Un’economia che in realtà è in grossa sofferenza e che, di conseguenza, pone seri interrogativi sul futuro di migliaia di lavoratori e lavoratrici, nonché sulla tenuta sociale del territorio. Se agosto è il mese delle ferie anche e soprattutto nell’industria manifatturiera, per la Fiom Cgil di Ferrara è il mese in cui accendere e puntare i riflettori sullo stato di quel pezzi di economia che costituisce uno degli strati essenziali per la crescita e la tenuta del territorio, ma che pian piano sta arretrando, passando da una crisi all’altra, inframmezzata magari da qualche salvataggio e precarie soluzioni tampone. Proprio da un salvataggio, quello della Tecopress di Dosso, parte il ragionamento di Stefano Bondi, segretario provinciale dei metalmeccanici Fiom. «L’importante accordo siglato in regione Emilia-Romagna che ha permesso di creare le condizioni per il salvataggio dello stabilimento Tecopress di Dosso e dei 141 posti di lavoro, ha acceso l’ennesimo faro su una delle tante situazioni di crisi del settore metalmeccanico in provincia di Ferrara - sostiene il segretario provinciale della Fiom -. Tecopress è solo una delle innumerevoli aziende in crisi costrette a far ricorso agli ammortizzatori sociali, alcune delle quali con la prospettiva di cessare l’attività produttiva». I numeri allora. «I dati sulla cassa integrazione nei primi mesi del 2024 in provincia di Ferrara relativi al settore manifatturiero (escluso l’artigianato) registrano un aumento del 132% rispetto allo stesso periodo del 2023 - osserva Bondi -. I lavoratori coinvolti dagli ammortizzatori sociali sono più di 2.680, tutti dipendenti di aziende dell’industria e medio piccola industria ai quali si aggiungono quelli delle aziende artigiane».
Su questo versante, quello dunque dell’artigianato, afferma il sindacalista, «stanno crescendo in maniera esponenziale le aziende sotto i 15 dipendenti che non hanno più ammortizzatori sociali disponibili e di conseguenza iniziano un percorso di riduzione dell’occupazione. Si rende quindi necessario aprire una discussione su ammortizzatori sociali in deroga per non perdere occupazione e imprese». E a ciò «si aggiungono tutte quelle aziende che stanno registrando riduzioni importanti dei volumi da produrre e che utilizzano le flessibilità d’orario tra cui le ferie e i permessi dei lavoratori e delle lavoratrici per reggere all’urto della crisi».
Tutto questo si traduce in una constatazione allarmante: «L’intero territorio di Ferrara è preda di una crisi che arriva fino alla deindustrializzazione nel settore manifatturiero in maniera specifica nel metalmeccanico». Le cause? «Sono sicuramente da ricercare nella situazione economica mondiale», dice Bondi, ma non solo, c’entra anche l’«assenza di politiche industriali che aiutino le imprese che oggi sono sul territorio e favoriscano l’insediamento di nuove». Serve allora dare nuovo vigore e slancio al patto per il lavoro "focus Ferrara", «che dovrebbe permetterci di individuare le azioni necessarie per accrescere il lavoro, un lavoro di qualità. È necessario che tutti i soggetti che lo hanno sottoscritto siedano ad un tavolo e trovino le azioni necessarie per politiche industriali finalizzate al rilancio della manifattura». Perché «lo svuotamento del territorio dal lavoro manifatturiero e industriale, il reddito da lavoro dipendente che vede la nostra provincia fanalino di coda in Emilia-Romagna per qualità dei salari, uno stato sociale incapace di sostenere le famiglie, sono alcune delle cause dell’aumento dell’invecchiamento e della decrescita demografica. È evidente che l’impoverimento del territorio rischia di diventare un fenomeno cronico irreversibile». Serve, dunque, «invertire questa rotta e diventare un territorio appetibile per nuove imprese, i giovani e per tutti coloro che cercano occasioni di lavoro e di un futuro migliore». E non lo si può fare puntando solo sul Terziario, spesso e volentieri fucina del lavoro povero.