Prigioni e luoghi di tortura a Ferrara
Da Porta Reno alla vecchia via della Forca, lo studioso Carpanelli ricostruisce la storia ferrarese dai nomi delle strade
Ferrara Quanti sanno che un tempo l’attuale Piazza Castello si chiamava via delle Pecore? O che corso Ercole I d’Este, era Corso Vittorio Emanuele e prima ancora via Piopponi? E che nell’attuale guardino del Dipartimento di Giurisprudenza c’era via della verdura?
La nomenclatura storica, ossia l'origine dei nomi di vie e piazze, permette di «scoprire la storia della città attraverso le intitolazioni delle sue strade, sia quelle attuali, sia quelle antiche, è un modo per riscoprire una Ferrara dimenticata, ma che costituisce il fascino della “prima città moderna d'Europa”».
Lo sa bene Giulio Carpanelli, studioso di Storia locale, nell'ambito di ricerca della Storia moderna. «La mia analisi – racconta – si concentra sulla Ferrara di Età legatizia, ovvero l’ intervallo di tempo compreso tra il 1598 e il 1859, esclusa la piccola parentesi dell'epoca napoleonica. In particolar modo mi occupo della Ferrara di fine ’500 inizio ’600, sotto il papato di Clemente VIII Aldobrandini e Paolo V Borghese. E della fine del Ducato estense di Alfonso II d'Este».
Da questo speciale osservatorio Carpanelli ha scoperto interessanti e curiosi aneddoti su alcune delle vie più frequentate dai ferraresi. «Lungo Corso Porta Reno, il passeggiatore distratto non noterà nulla di insolito. E come potrebbe? – si chiede Carpanelli – D'altronde la via, soprattutto nel tratto di strada compreso tra la Torre dell’Orologio e Via Ragno, è stata stravolta con il progetto di rinnovamento urbano attuato tra il 1939 e la metà degli anni Cinquanta. Progetto noto ai più come "Sventramento di San Romano". Tale progetto si prefiggeva di risanare l'antico quartiere medievale, in cui le condizioni igienico-sanitarie lasciavano alquanto a desiderare. Durante questo rinnovamento, venne cancellata per sempre anche la strada denominata "Via della Forca". Questa via cominciava in corrispondenza del civico 9 (anticamente la numerazione dispari era sul lato sinistro, provenendo da piazza Trento e Trieste, mentre ora si trova sul lato opposto), dinanzi a Via del Podestà, e terminava a fondo chiuso, in prossimità di Via San Romano. Corrisponde, seppur marginalmente, all'attuale Via Don Giovanni Minzoni. All'inizio del Novecento tale via risultava chiusa, ma non è improprio azzardare l'ipotesi che essa proseguisse in direzione di Vicolo Mozzo Agucchie, per sfociare infine in Strada dell'Impiccato (il viottolo che al giorno d'oggi giunge sin dietro alla chiesa di San Romano). Tale sinistro nome è determinato dal fatto che in questa via venivano custoditi gli strumenti di giustizia, o, per meglio dire, di tortura. A sinistra di questa viuzza era presente un ulteriore vicoletto, il Vicolo del Boia, dove si trovavano le Carceri del Tribunale, ossia le prigioni per reati comuni poste sotto tutela diretta del Podestà. Una di queste prigioni, quella che affacciava sulla stessa Via della Forca, era detta Prigione della Furbaia. Tale nome, da collegarsi alla Lingua furbesca, linguaggio tipico dei malandrini diffusosi in Italia tra il XVI ed il XX secolo, è da ricondursi al fatto che in essa venivano reclusi i malavitosi, ed i condannati alla pena capitale. Questa via, le prigioni ad essa connesse, e lo stesso Palazzo della Ragione scompariranno per sempre tra il 1939 (anno dell'inizio dei lavori di sventramento) ed il 1945, quando il Palazzo della Ragione venne distrutto da un incendio doloso, e successivamente sostituito dall'attuale palazzo affacciato sulla pubblica piazza, opera dell'architetto razionalista Marcello Piacentini».
Nonostante non resti traccia di questo passato, conoscerlo non può che rivelare un nuovo volto del centro e delle sue vie, custodi di una storia che, per quanto lontana, definisce il presente.
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