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La sentenza

Omicidio Bergamini, la sorella: «Ora Denis ha avuto la verità»

Sergio Armanino
Omicidio Bergamini, la sorella: «Ora Denis ha avuto la verità»

Pensieri ed emozioni della sorella dopo la sentenza di condanna. «Pena congrua? Isabella deve ancora parlarmi... Fiducia nella procura di Castrovillari»

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Boccaleone La vita non ha risparmiato proprio nulla a Donata Bergamini: la morte del fratello minore Denis appena 27enne, quando lei era una giovane mamma di un paio d’anni più grande, la lotta contro tutto e tutti per dimostrare che non era stato suicidio, le infamie, le minacce, papà Domizio che si è consumato nella lotta impari per dare giustizia e verità a quel corpo esanime sulla statale Jonica a Roseto Capo Spulico. Un omicidio in terra calabrese comporta mille sacrifici, a iniziare dal dimostrare che non è stato un suicidio: dopo 35 anni a stabilirlo è stata la corte d’assise di Cosenza, in primo grado, condannando Isabella Internò, ex fidanzata di Donato Bergamini, a 16 anni di reclusione. Una sentenza arrivata alle 19 di martedì, alla quale hanno presenziato l’imputata e le parti civili: Donata c’era, a Cosenza da un paio di settimane, assieme anche al figlio che porta il nome di quello zio che non ha mai potuto conoscere.

Non era certo nuova a viaggi in Calabria, Donata in questi sette lustri ne ha fatti tanti, avanti e indietro dalla sua Boccaleone, mille chilometri di distanza: per “indagare”, per presenziare a processi che si sono dimostrati, dopo decenni, quanto meno frettolosi. Ma anche per le tantissime occasioni in cui il numero 8 del Cosenza calcio, idolo della curva dei Lupi, è stato ricordato. Ieri, l’ultimo viaggio di ritorno in treno, con un altro travaglio: la linea ferroviaria in tilt per un guasto a Roma, ritardi infiniti, incertezze. Stanca, ormai senza voce, Donata Bergamini tuttavia non ci nega qualche risposta.

Signora Bergamini, come ha trascorso la notte dopo questa storica sentenza?

«È stata tutta un dormiveglia, con il pensiero dei miei figli che stavano rientrando a casa in auto, dopo essersi svegliati la notte prima alle 3 per arrivare puntuali alle 9,30 in corte d’assise a Cosenza ed essere presenti all’ultima udienza prima della camera di consiglio».

È riuscita, nelle ore successive alla pronuncia dei giudici, a realizzare cosa significhi la sentenza? Quali sono le sue sensazioni?

«C’è la rabbia per una verità che urlavamo da 35 anni, ma anche la gioia che finalmente quella verità è stata scritta».

I 16 anni comminati a Isabella Internò le sembrano una pena congrua, che comunque sancisce una sua responsabilità?

«Per quanto riguarda la pena alla Internò, preferisco non parlare».

Cosa le direbbe oggi, all’indomani della sentenza che la condanna?

«A Isabella non voglio dire nulla, perché è lei che deve dire a me. La verità è uscita grazie a professori illuminati della scienza. La glicoforina (eccepisce circa la posizione della difesa, ndr) non vedo per quale motivo non debba essere considerata valida sul corpo di Denis, mentre in altri casi è stata ritenuta valida: vogliamo usare due pesi e due misure anche sui corpi ora?».

Purtroppo la battaglia non è ancora finita, però il lavoro della procura della Repubblica ora va avanti e questo può aggiungere un altro pezzo di verità.

«La procura di Castrovillari ora farà il suo corso, com’è giusto che sia, e ho fiducia».

Delle tante attestazioni di solidarietà, ce n’è qualcuna che l’ha colpita?

«No, non ne esiste una in particolare che mi ha colpito, perché sono tante che mi hanno colpito e oltre 980 non sono ancora riuscita a leggerle. Posso dire che mi ha reso molto felice la vicinanza del mio sindaco Andrea Baldini, il quale mi ha sostenuta nel corso di questi giorni con telefonate e messaggi».

Ai tanti cosentini che le sono sempre stati vicini, cosa vuole dire?

«Ai cosentini che mi sono sempre stati vicini voglio semplicemente dire grazie per non averci mai lasciati soli dal 2009 in poi. Per i tifosi, invece, grazie per averlo sempre tenuto nel suo mondo, i campi di calcio, chiedendo a gran voce verità e giustizia per Denis e aver coinvolto tutte le tifoserie. Cori e striscioni hanno sempre tenuto accesi più fari su questa storia, perché da subito si capiva che la verità era stata nascosta, infangata e depistata. Ovviamente vedere striscioni da tifoseria di tutt’Italia e dall’estero è stato un gesto molto bello e importante, con un significato enorme: la morte non ha rivalità».