Cona, Pronto soccorso sotto stress: fino a tre giorni di attesa per un ricovero
Paziente “emigra” in Veneto. Il Sant’Anna: «Qui casi sociali e richieste inusuali»
Ferrara Due giorni, in qualche caso tre, in barella ad aspettare il ricovero nella sala di attesa del Pronto soccorso di Cona. Nonostante i tentativi di ridurre la pressione sul servizio d’emergenza, con l’attribuzione di incarichi finalizzati a fluidificare il transito dei pazienti verso i reparti di destinazione e l’attivazione dei Cau (gli ambulatori che assistono i pazienti con codici sanitari lievi), la situazione resta problematica per i malati e per il personale.
LA TESTIMONIANZA
«Domenica scorsa ho accompagnato mio marito al Pronto soccorso per un problema pneumologico – racconta una paziente – siamo entrati verso le 13, sono stati eseguiti esami diagnostici e alle 20 ho parlato col medico. La situazione era tale che è stato prescritto il ricovero, ma mi hanno detto che non c’era posto per lui in reparto, che avrei dovuto aspettare fino al mattino dopo, quando sarebbero state disposte le dimissioni di altri pazienti. Mio marito ha 89 anni e io non me la sono sentita di passare lì dentro tutta la notte. Fisicamente non ce l’ho fatta. Poi ho anche pensato che avrei dovuto attendere il posto libero per mio marito, ma c’erano altri pazienti in attesa, sarebbe stato sufficiente attendere fino al pomeriggio di lunedì o saremmo andati oltre?». La coppia è rientrata a casa e successivamente si è rivolta ad una clinica convenzionata del Veneto. «Lì ho trovato posto il mattino stesso, lo specialista per tanti anni ha lavorato al Sant’Anna», ha aggiunto la signora. I numeri indicano che in Pronto soccorso gli arrivi sono continui, lunedì pomeriggio era stato raggiunto il numero di 40 pazienti in attesa e 36 in trattamento; nella notte quelli in attesa sono scesi a 22 con 40 pazienti in trattamento. Presenze che confermano molto più di una situazione di affanno. Anche per il personale che, durante un turno di notte, deve visitare alcune decine di pazienti. Una “catena di montaggio” difficile da sostenere: questa è una delle motivazioni citate dagli specialisti che decidono di lasciare l’emergenza per entrare nei servizi territoriali come medici di base.
LA RISPOSTA
L’azienda ospedaliera, contattata dal giornale, spiega che «negli ultimi giorni si sono verificati dei rallentamenti nei ricoveri dei pazienti da Pronto soccorso che hanno portato ad attese maggiori anche se quelle più alte sono eccezioni. Le ragioni sono molteplici. Le prime malattie da raffreddamento hanno provocato un rallentamento di pazienti in uscita dalle lungodegenze, sia aziendali sia delle strutture convenzionate. Contestualmente anche su numerosi pazienti inviati nelle case di riposo per riabilitazione si sono registrati ritardi nelle dimissioni». Ma, aggiunge l’ospedale, «spesso le difficoltà a dimettere sono legate anche a situazioni sociali più che sanitarie», senza contare «un altro fenomeno che si ripete con sempre maggior frequenza: i famigliari delle persone in attesa di ricovero rifiutano la destinazione proposta dai sanitari chiedendo di andare in uno specifico reparto o struttura e questo genera ulteriori lungaggini. Alcuni dei casi-limite citati potrebbero essere legati a quest'ultima fattispecie. L’azienda ha comunque avviato correttivi nei vari servizi di Pronto soccorso con una riduzione, rispetto al passato, dei tempi medi di degenza».