Emilia, un paese per vecchi: «Giovani in minoranza»
Il rapporto Ires Cgil: «Serve un’immigrazione massiccia»
Bologna L’inverno demografico continua ad essere glaciale. Fra le regioni italiane l’Emilia Romagna è ai vertici della poco onorevole classifica della denatalità. Da qualche decennio solo l’immigrazione, prima dal Mezzogiorno poi soprattutto dall'estero, permette di mantenere o accrescere il livello della popolazione, immettendovi le leve giovanili produttive e procreative. Tuttavia la tendenza all'invecchiamento non s’arresta. Al pauroso calo delle nascite contribuiscono le stesse coppie straniere, che pure si mantengono più prolifiche di quelle italiane. Perciò secondo la Cgil l’apporto degli immigrati è essenziale per conservare un certo equilibrio. Il sindacato lo sostiene sulla base di un’indagine demografica commissionata in ambito regionale a Ires, l'Istituto di ricerca economica e sociale creato per sua volontà nel 1982. «Senza un’immigrazione massiccia – scrive – e un’altrettanta decisa crescita del tasso di fecondità, anche in Emilia-Romagna i giovani saranno sempre più una minoranza». Il numero complessivo degli abitanti era aumentato dagli anni ’90 al 2010 grazie agli arrivi dal Meridione e poi dall'estero. Sono seguite la stagnazione e una lieve flessione, interrotta l’anno scorso da una crescita dello 0,3%, in controtendenza rispetto all’andamento negativo nel Centrosud.
I residenti
Il primo gennaio 2024 risultava pari a 4.473.450 il numero dei residenti in Emilia-Romagna. Il massimo incremento (più 0,9%) si è registrato in provincia di Parma. Seguono Bologna (+0,4%), Reggio e Piacenza (+0,3%, Forlì-Cesena (+0,2%), Rimini e Ravenna (+0,1%). È in lievissima diminuzione solo Ferrara (meno 0,01%). Il bilancio sarebbe stato ben diverso senza l’immigrazione. Infatti il saldo migratorio, calcolato con la somma algebrica degli arrivi e delle partenze, è ampiamente positivo: più 14.919 rispetto alle altre regioni italiane e più 25.116 nei confronti di altre nazioni. Questi dati compensano il saldo naturale di 22.425 abitanti in meno, risultante dalle nascite e dai decessi, che pure sono calati attenuando l’effetto dell’impressionante minimo storico dei nuovi nati rilevato nel 2023 in Italia.
Gli anziani
Nondimeno la Cgil sottolinea che purtroppo sta diventando strutturale il processo di invecchiamento della popolazione, con ciò che ne consegue con l’aumento dei pensionati e la diminuzione dei giovani in grado di lavorare pagando i contributi previdenziali. Secondo la statistica la popolazione regionale è composta per il 12% da residenti fino a 14 anni, per circa un quarto da 15-39enni (25,8%), per il 37,5% da 40-64enni e per un quarto da ultra-65enni (24,7%). Negli ultimi dieci anni la fascia di giovani e adulti di età compresa fra i 15 e i 39 anni è scesa dal 34,3% al 25,8%. Contemporaneamente quella dei 40-64enni è salita dal 33,6% al 37,5% e quella superiore ai 65 anni è passata dal 21,1% al 24,7%.
Le età medie
«Oggi – osserva l’Ires – sono il 13,2% della popolazione i grandi anziani, molti dei quali vivono da soli. In Emilia-Romagna ci sono 205 over 65 ogni 100 ragazzi under 15. Si contano 58 persone in età non occupabile ogni 100 lavoratori e 150 pensionati ogni 100 nuovi ingressi nel mercato del lavoro». Quindi l’età media dei residenti è progressivamente aumentata dai 43,6 anni del 1994 ai 45,4 del 2014, ai 47 del 2024. La contrazione più significativa, pari a novemila unità, riguarda i bambini e i ragazzi di età inferiore a 15 anni. Lo si deve all’assoluta insufficienza del tasso di fecondità, che viene misurato con il numero dei figli per ogni donna di età fertile, convenzionalmente compresa fra 15 e 49 anni. Per garantire il ricambio generazionale il tasso dovrebbe essere leggermente superiore a 2, come avveniva con il “baby boom” degli anni Sessanta.
Dagli anni ’70 in Emilia Romagna è crollato fino allo 0,93 del 1997. Poi è cresciuto grazie all'immigrazione. Nel 2010 era arrivato a 1,52, ma poi è ridisceso fino all’1,22 dell'anno scorso, in linea con il dato nazionale. È da notare che fra le donne residenti nella nostra regione quelle con la cittadinanza italiana hanno mantenuto negli ultimi venti anni una prolificità minima, fra l'1,12 e l'1,14. Le straniere sono calate dal 2,89 all'1,92. Esiste infatti un sensibile divario numerico tra i figli desiderati e quelli che vengono generati. Per ridurlo l’Ires ritiene fondamentale prendere in considerazione «le criticità occupazionali, abitative, l’offerta di servizi, ma anche i cambiamenti delle aspettative della popolazione rispetto a tale tema».