La Nuova Ferrara

Ferrara

In tribunale

Ferrara, dossier Ferraresi: imputazione coatta per l’assessore Lodi

Alessandra Mura

	Nicola Lodi (foto Filippo Rubin)
Nicola Lodi (foto Filippo Rubin)

Diffamazione e trattamento illecito di dati personali. Divulgate informazioni riservate sulla consigliera

4 MINUTI DI LETTURA





Ferrara Le accuse contro Nicola Lodi di aver divulgato informazioni riservate su Anna Ferraresi ai consiglieri comunali e al datore di lavoro della donna non devono essere archiviate. Lo ha stabilito il giudice Danilo Russo che con un’ordinanza ha disposto l’imputazione coatta nei confronti dell’assessore, anche vicesindaco all’epoca dei fatti. Alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura si era opposta la parte offesa, assistita dall’avvocato Fabio Anselmo, e il giudice ha dato loro ragione ritenendo che gli elementi emersi durante le indagini meritino di essere valutati nel corso di un processo e ha rimandato gli atti al pubblico ministero perché formuli l’imputazione per i reati di trattamento illecito dei dati personali e diffamazione.

Al centro della vicenda un “dossier” che nel maggio del 2020 venne recapitato con busta anonima ai consiglieri comunali e al datore di lavoro della Ferraresi, allora consigliera. I documenti riguardavano fatti avvenuti sei anni prima, relativi a un procedimento penale per rifiuto a sottoporsi all’alcoltest attribuito alla Ferraresi, nello specifico il verbale di accertamenti urgenti, l’annotazione di polizia giudiziaria e la documentazione di ps. Secondo il giudice si può ritenere «pacifico» il fatto che Lodi si trovasse in possesso della documentazione. Circostanza che, se da sola non basta a provare che fu effettivamente il vicesindaco a diffondere quelle informazioni poco edificanti per la consigliera, rappresenta già di per sé un «dato abbastanza inquietante», trattandosi di incartamnti «quantomeno riservati e di difficile accessibilità». Ma a parere del Gip «risulta altrettanto ragionevole ipotizzare che l’autore della diffusione degli atti si identifichi proprio nell’indagato». Lo scenario è quello delle tensioni tra Lodi e Ferraresi sfociate poi a cavallo del 2019 e del 2020 nel “caso trenino”, ed è in questo clima avvelenato che Lodi lascia intendere in più occasioni di «essere al corrente, anche nei dettagli, della vicenda giudiziaria» relativa alla Ferraresi.

Nell’aprile 2020 sui social Lodi allude a «scheletri nell’armadio» della Ferraresi, le consiglia di «posare il fiasco» e fa riferimenti all’autostrada A13, il luogo dell’accertamento con l’alcoltest. Particolari, osserva il giudice, che Lodi poteva aver appreso solo consultando gli atti del procedimento penale. Un mese dopo il vicesindaco allude a “tracannare alla guida”, un riferimento esplicito, secondo il giudice, all’annotazione della polizia Stradale in cui emerge che Ferraresi, dopo aver rifiutato il test, si era seduta nel posto di guida per sorseggiare della birra. Allusioni in entrambi i casi accompagnate dall’annuncio che Ferraresi «“a breve” sarebbe tornata a non contare più nulla preannunciando un accadimento idoneo a travolgere la sua posizione di consigliere comunale», come poi avvenne di lì a poco «con la diffusione anonima degli “scheletri nell’armadio”», nota sempre il giudice.

C’è poi la testimonianza della consigliera Rosanna Arquà, la quale ricorda che nel febbraio del 2020 Lodi le aveva mostrato il “dossier” sulla Ferraresi, per poi riporlo in un cassetto. E se Arquà è stata poi indagata a sua volta per le lettere minatorie a Lodi, la sua vicinanza al vicesindaco all’epoca dei fatti renderebbe «del tutto plausibile il fatto che avesse appreso quanto poi narrato agli inquirenti», sottolinea il Gip. Ovvero che Lodi già da allora «aveva manifestato l’intenzione di divulgare questi documenti per creare uno scandalo». Dichiarazioni che trovano inoltre «un consistente e ben solido dato di conferma nelle stesse parole di Lodi, nonché negli argomenti di ordine logico», riportati.

Tra questi, anche il fatto che il proprietario della struttura assistenziale in cui lavorava Ferraresi tra aprile e maggio del 2020 era stato contattato dal vicesindaco per sapere il numero della titolare della Casa Famiglia. Quest’ultima nel mese di aprile era stata contattata da un uomo «non meglio qualificatosi» che le aveva chiesto se Ferraresi lavorasse ancora in quella struttura. E a maggio «nella buchetta della posta della Casa Famiglia aveva ritrovato un plico, anonimo, in cui erano contenuti gli atti giudiziari» della consigliera.

In conclusione, tira le somme il giudice, «un quadro fortemente suggestivo e indicativo del coinvolgimento di Lodi nell’illecita divulgazione di tali documenti», e che risulta «idoneo sulla base degli atti disponibili a formulare una prognosi, in termini di ragionevolezza, di condanna dell’indagato e che merita dunque il necessario vaglio dibattimentale».