Ferrara, i dubbi delle difese sui fatti precedenti al massacro del Big Town
La rissa al bar Condor, l’indagine sull’estorsione, la vigilanza e i controlli
Ferrara Giovedì scorso, davanti alla corte d'assise, le difese di Mauro e Giuseppe Di Gaetano, i due uomini a processo per l’omicidio di Davide Buzzi al bar Big Town, hanno puntato il dito sulla mancata protezione del barista, oggetto di minacce e di un tentativo di estorsione da parte dello stesso Buzzi, chiedendo che questo aspetto della vicenda venisse discusso nel processo, indicando come la Procura di Ferrara avesse approfondito tali aspetti, ritenuti «strettamente legati alle azioni di tutte le persone coinvolte nei fatti della tragedia dell’1 settembre». L’obiettivo sotteso è chiaro: portare al centro del processo delle (presunte) mancanze che avrebbero generato le particolari condizioni psicologiche nelle quali i due Di Gaetano siano arrivati a uccidere, in maniera giudicata dalla procura crudele.
Vigilanza
Di cosa si tratta? Il primo aspetto riguarda l’aggressione avvenuta il 17 agosto precedente ungo via San Romano e conclusasi al bar Condor. Vide protagonisti alcuni parenti di Edoardo Bovini, 19enne deceduto tra il 12 e il 13 agosto davanti al Big Town dopo aver assunto della cocaina e Buzzi, che era del giovane era il “padre acquisito”. Volevano picchiare Hamza Ben Khaled, uno straniero con alcuni precedenti, incolpato di essere coinvolto in quel decesso. Dopo tale fatto, Ben Khaled, che era stato minacciato di morte, venne messo dalla Prefettura sotto protezione tramite una vigilanza generica radiocontrollata, la “Vgr”, che garantisce il passaggio di una pattuglia più volte al giorno davanti all’abitazione della persona protetta. Fu una forzatura per rispondere a una sollecitazione che la Questura aveva avuto dalla Procura. A questo si riferiscono le difese quando parlano delle «iniziative degli organi di sicurezza pubblica» non approfondite.
L’estorsione e il limbo
Anche perché pochi giorni dopo, il 25 agosto, Mauro Di Gaetano venne minacciato da Buzzi il quale, secondo quanto ha poi rivelato lo stesso barista, gli aveva chiesto un pizzo di 3mila euro da pagare il 25 settembre. Denunciò tutto alla Squadra mobile. L’informativa alla Procura diceva esplicitamente che Buzzi era lo stesso soggetto coinvolto nell’aggressione a Ben Khaled, indicando anche il nome del magistrato che stava già procedendo. Il fascicolo venne però assegnato a un altro magistrato, che era in ferie (poi venne riassegnato solo il 5 settembre allo stesso pm che ormai indagava sull’omicidio). Nessuno ha quindi potuto prendere una decisione in tempi stretti su cosa fare con Buzzi: organizzare l’indagine, eventuali controlli, chiedere misure cautelari. Oppure spingere per una Vgr anche per Mauro Di Gaetano. È su questa apparente differenza di trattamento tra lui e Ben Khaled che gli avvocati sembrano aver voluto puntare i riflettori l’altro giorno.
Ma sarebbe cambiato davvero qualcosa? Difficile dirlo. D’altronde quel 1º settembre, quando tutto stava precipitando, Di Gaetano chiamò il 113 per avvisare della minaccia imminente. Arrivarono i carabinieri, ripassarono altre due volte davanti al bar, senza fortuna. Avrebbero potuto fare di più, magari rimanere appostati e pizzicare Buzzi in flagranza? Col senno del poi, sì. Ma chi si sarebbe mai potuto aspettare una reazione così violenta da parte del barista e di suo padre e un ribaltamento della situazione così totale?
Una versione precedente di questo articolo, uscita online e in edicola il 9 novembre, dava erroneamente conto di una polemica - non esistente in realtà - dei difensori dei signori Di Gaetano con la procura di Ferrara per non aver approfondito alcuni aspetti relativi a episodi precedenti all'omicidio. Si è trattato di un passaggio dell'articolo frutto di un’incomprensione e per questo la versione online dell'articolo è stata rivista e modificata dopo la pubblicazione iniziale. L'autore si scusa con le persone coinvolte e con i lettori.