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Altri sette migranti ospitati a Ferrara: «Niente militari, tutto “umano”»

Stefano Ciervo
Altri sette migranti ospitati a Ferrara: «Niente militari, tutto “umano”»

Domenico Bedin lunedì è andato a prendere tre bengalesi: sorrisi, patatine e letto. Hanno già iniziato l’iter per il permesso, intanto potranno fare lavori stagionali

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Ferrara Otto migranti fanno avanti indietro dall’Albania su di una nave militare, altri sette sono invece accolti e ospitati nel Ferrarese. È quanto successo solo nelle ultime ore, «ma capita di continuo, il flusso degli arrivi sul territorio non si è mai arrestato mentre a livello nazionale si discute solo della vicenda albanese che riguarda poche persone» annota Domenico Bedin, protagonista dell’accoglienza nel Ferrarese. È toccato alla sua coop accogliere l’altro giorno tre giovani del Bangladesh, parte del gruppo di sette provenienti anche da Egitto e Tunisia: «Siamo stati contattati ieri mattina (lunedì, ndr) dalla Prefettura che ci ha inviato anche i nomi delle persone da accogliere. Al Centro Mattei di Bologna - è il suo raccolto - verso le dieci di sera sono arrivati due pullman con circa 80 persone dalla Calabria. Insieme a noi c’erano una quindicina di altre associazioni e coop di tutta la regione con i loro pulmini. In dieci minuti un giovanotto e una ragazza addetti all’accoglienza e allo smistamento, salendo e scendendo dai bus, ci hanno affidato i ragazzi profughi. Niente polizia, niente tensioni, semplicemente freddo e sguardi interrogativi da una parte e dall’altra. I nuovi giunti si chiedevano dove sarebbero andati a finire, noi curiosi di vedere i volti e sapere i nomi».

Mufti, Hossan e Ali, questi i nomi dei tre bengalesi, «sono vestiti poco, hanno le ciabatte ai piedi, uno ha un asciugamano sulle spalle per proteggersi dal freddo. Salgono in auto e metto il riscaldamento al massimo - continua l’ex sacerdote - Mufti parla un po’ inglese, li avviso che stiamo andando a Ferrara: logicamente non sanno nulla di Ferrara, ma dicono che l’Italia è bella. Chiedo, per rompere il ghiaccio, se hanno fame: fanno cenno di sì. È lunedì ed è ormai tardi. Ci fermiamo a mangiare un panino e patatine». Intanto i ragazzi raccontano: sono partiti un mese fa e hanno fatto tappa a Dubai, poi Egitto e quattro giorni di barca, in Italia da cinque giorni. Due sono sposati, uno ha bambina che fa vedere in foto sul cellulare.

Sono finiti in una casa di accoglienza nei dintorni di Ferrara, nei prossimi giorni cominceranno l’iter burocratico per i documenti, le profilassi sanitarie e la scuola, riceveranno il kit per i vestiti e la tessera per il cibo e i trasporti: mentre attendono le decisioni della commissione sulla permanenza in Italia, potranno lavorare come stagionali in agricoltura o in altri settori (tre che dormono con loro si alzano alle cinque ogni mattina per andare all’Interporto di Bologna).

«È il racconto di centinaia di arrivi, tutti simili, tutti estremamente pacifici e umani. Non ci sono militari e polizia schierati, navi militari o porti e località straniere in affitto. Non ci sono sbarre o centri simili a carcere. I costi sono contenuti e tutti si collabora per capire quale possa essere il nostro e il loro destino. Non è difficile, basterebbe conoscere i nomi e guardarsi negli occhi» conclude Bedin.