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Il caso

Ferrara, processo stadio: la Spal vuole un milione di euro

Daniele Oppo
Ferrara, processo stadio: la Spal vuole un milione di euro

Alle battute conclusive il processo sui lavori allo stadio Paolo Mazza. La società chiede i primi danni a Tassi, per la procura va condannato

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Ferrara Dall’imprenditore Giuseppe Tassi, la Spal vuole innanzitutto un milione di euro, e qualcosa di più, solo come “anticipo” di un più corposo risarcimento del danno per i problemi sorti dopo i lavori di ampliamento dello stadio Paolo Mazza effettuati nel 2018 e che servivano per rendere la struttura idonea per la Serie A. La società ha presentato il (primo) conto ieri mattina, davanti al giudice Marco Peraro nel processo che vede Tassi imputato di frode in pubbliche forniture per via delle difformità e delle carenze delle opere, alcune di gravità tale da portare la procura a sequestrare la struttura a fini di garanzia e rimuovere il vincolo solo dopo la messa in sicurezza, effettuata dalla Spal di tasca propria tra 2021 e 2022: siamo già nella gestione Joe Tacopina. Proprio queste spese hanno costituito la richiesta di provvisionale presentata al giudice: in sostanza la società chiede al tribunale che Tassi risarcisca per ora almeno l’esborso extra dipeso dalla sua responsabilità. A patto, ovviamente, che l’imprenditore venga effettivamente condannato. Il pubblico ministero Barbara Cavallo ha chiesto nei suoi confronti la condanna a un anno e otto mesi di reclusione, oltre che a 3mila euro di multa.

Una richiesta di condanna è arrivata anche per il direttore dei lavori nonché progettista Lorenzo Travagli (due anni e due mesi di reclusione e 2mila euro di multa, è imputato anche di falso), a carico del quale la pm ha evidenziato una netta difformità di opinione tra due relazioni: la prima e più risalente che considerava lo stadio pronto e collaudabile, la seconda, del marzo successivo, che parlava di un’opera che non poteva essere consegnata per via delle carenze presenti. Chiesta la condanna anche per gli imprenditori Domenico Di Puorto (un anno e otto mesi e 2mila euro) e Adelino Sebastianutti (tre anni e 3mila euro, una pena aumentata per via di una contestata recidiva), amministratori delle società Gielle Srl e Pm Group srl, subappaltatrici per l’esecuzione di alcune lavorazioni. Secondo il pm la società Gielle era in realtà solo «una cartiera», una società vuota e creata appositamente, che serviva a coprire altri interessi, mentre i lavori sono stati eseguiti in realtà dalla Pm Group. Significativo un passaggio della requisitoria sullo spirito che avrebbe guidato l’animo degli imputati: «Andare avanti a tutti i costi, far risultare l’opera collaudata a settembre e consentirne alla Spal l’uso dello stadio per l’imminente avvio del campionato».

L’accusa di frode in pubbliche forniture dipende dall’impostazione della Procura che ritiene la Spal un soggetto incaricato di pubblico servizio, avendo in gestione il “Paolo Mazza”, di proprietà del Comune, in base a una convenzione. Convenzione che, ha sottolineato più volte, prevedeva che i lavori di manutenzione e ampliamento avrebbero dovuto seguire le apposite norme di legge – e dunque essere affidati tramite gara pubblica (come ammesso anche dall’avvocato di parte civile: «Pochi dubbi che la Spal dovesse fare una gara») – e con la ripartizione dei costi da stabilirsi tra società ed ente pubblico. Solo quest’ultima cosa si sarebbe realizzata nella decisione della Spal di accollarsi i costo. Il fatto che sia stata qualificata come una “liberalità”, ovvero un regalo della Spal al Comune, non fa venire meno, nella lettura dell’accusa, la natura pubblica dello stadio e della sua gestione, e quindi il realizzarsi di una frode in una fornitura pubblica nelle difformità riscontrate nelle lavorazioni e in parte anche nella progettazione. Difformità evidenziate inizialmente, e in gran numero, dai consulenti della procura – il professor Carlo Pellegrino e l’ingegner Mario Organte – e poi in buona parte confermate dal perito del Tribunale, il professor Bernardino Chiaia, che ne ha segnalate due gravi dal punto di vista del pericolo di crollo, e numerose altre impattanti su durabilità e deformabilità delle strutture.

La procura ha infine chiesto l’assoluzione per il quinto imputato, il collaudatore della curva est Fabrizio Chiogna, accusato di falso in atto pubblico. Il presupposto è che non abbia agito nel miglior modo possibile – e infatti per il pm rimane impregiudicata una responsabilità di tipo disciplinare – ma dal punto di vista penale si sia mosso all’interno di regole a maglia larga. «Siamo contenti che il pubblico ministero abbia recepito quanto emerso nel dibattimento e chiesto l’assoluzione per l’ingegner Chiogna – afferma il suo difensore, l’avvocato Vincenzo Bellitti –, che ha vissuto in modo molto duro questi sei anni». La prossima udienza, per le arringhe difensive, è in calendario per il 6 dicembre. Il 9 dicembre dovrebbe arrivare la sentenza