Via Crucis Balcanica in mostra a Ferrara
Le cicatrici invisibili dei migranti raccontate dagli scout Agesci
Ferrara È l’immigrazione, e in particolar modo la Rotta Balcanica, il tema della mostra “Storie che (s) fuggono allo sguardo” allestita dai ragazzi scout Agesci del Gruppo Ferrara 3 all’ex Teatro Verdi di Ferrara, rimasta aperta dal 15 al 19 novembre 2024 e finanziata dalla Ong Ibo Italia, all’interno del progetto “Tutta un’altra storia”.
La mostra è la conclusione di un’esperienza vissuta dal gruppo scout che quest’anno si è concentrato sul fenomeno della Rotta Balcanica, ovvero il principale percorso intrapreso da giovani e adulti dei paesi dell’Asia Meridionale, che, fuggendo da situazioni di guerra e povertà, attraversano i paesi dell’Est al fine di trovare condizioni migliori in Europa. Volendo conoscere dal vivo questo fenomeno, gli scout hanno prestato servizio in alcune comunità che ospitano minori stranieri non accompagnati.
Per meglio conoscere i fini dell’esperienza e le emozioni che hanno provato i ragazzi abbiamo intervistato Maddalena Mazza, ragazza del gruppo scout.
Come è stata selezionata la tematica dell’immigrazione e in particolare quella della Rotta Balcanica?
«Fra le tematiche di attualità, l’immigrazione era quella che ci interessava di più perché per esempio nei telegiornali, quando si sente parlare di migranti, si parla spesso del mare, dei barconi, mentre della Rotta Balcanica si sente poco e volevamo scoprire gli altri modi con cui i migranti arrivano».
Quali attività specifiche sono state svolte dai ragazzi scout nelle comunità di accoglienza e quali sono state le principali sfide incontrate dagli scout nel confrontarsi con la realtà dei Centri di Accoglienza per i minori migranti?
«Siamo andati in due posti a Udine: Civiform e la Casa dell’Immacolata. Ci siamo confrontati con ragazzi dai 13 ai 17 anni e abbiamo cercato di coinvolgerli tramite attività di giochi quando riuscivamo ad abbattere il problema della lingua, perché alcuni di loro non parlavano l’italiano e neanche l’inglese. Tuttavia, tramite i mediatori siamo riusciti a creare un dialogo e a farci spiegare la loro storia. Tra le sfide che abbiamo incontrato rientrano la barriera linguistica e il conoscere una realtà diversa dalla nostra. Superate però queste difficoltà, abbiamo trovato dei ragazzi molto partecipi che si sono messi in gioco con tutte le attività che abbiamo proposto».
Qual è l’obiettivo principale della mostra e quali messaggi si vogliono trasmettere al pubblico?
«L’obiettivo principale della mostra è far conoscere l’esperienza che abbiamo vissuto noi scout e far capire l’importanza di conoscere prima di giudicare, poiché questi ragazzi sono persone come noi che, trovandosi in una situazione difficile, scappano non perché ne hanno voglia, ma principalmente perché è improponibile vivere in certe condizioni. Noi vogliamo soprattutto sensibilizzare la nostra comunità, trasmettendo le storie che abbiamo potuto sentire e di cui abbiamo avuto testimonianze, per ricordare che abbiamo tutti gli stessi diritti e dobbiamo avere tutti la stessa possibilità di vivere una vita dignitosa».
Quali strumenti o attività interattive erano presenti nella mostra per coinvolgere i visitatori?
«Nella mostra c’erano suoni che riportano all’ambientazione della foresta che i migranti attraversano durante la Rotta Balcanica poiché volevamo far rivivere ai visitatori quel senso di solitudine che si prova all’interno di essa. La mostra inizia con il buio, che sarebbe quello della foresta, fino ad arrivare alla parte della luce, ovvero quando i migranti arrivano in Italia dove cercano una speranza e un sorriso a cui aggrapparsi».
In conclusione, la mostra “Storie che (s) fuggono allo sguardo” è più di una semplice esposizione: è un invito alla riflessione, alla comprensione e all’empatia verso le difficili esperienze vissute dai migranti. Attraverso le testimonianze raccolte dagli scout, emerge la realtà cruda e spesso invisibile di chi affronta la Rotta Balcanica in cerca di una vita migliore. Di grande impatto sono le frasi sui cartelloni presenti nella mostra. Riteniamo importante riportarne una che ci ha particolarmente colpito, pronunciata da un ragazzo egiziano di 17 anni: “Ci sono cicatrici che non si vedono. Sono quelle che lasciano le parole urlate, i manganelli alzati, le notti al gelo dopo essere stati respinti, ancora una volta, ancora un confine. ” Essa richiama l’attenzione sulle sofferenze silenziose, sulle ferite interiori che segnano profondamente l’animo di chi fugge dalla guerra e dalla povertà. La mostra, attraverso immagini, suoni e racconti, cerca di rendere visibili queste cicatrici nascoste, di far sentire le voci di chi troppo spesso rimane inascoltato. È un’opportunità per ricordare che, dietro ogni migrante, c’è una storia di coraggio, di dolore e di speranza che merita di essere riconosciuta e rispettata. l
Aurora Di Micco
Amira Lahbib
Giorgia Zerbinato
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