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Schianto auto-bus a Boara, il racconto: «Così abbiamo fatto uscire tutti dal pullman»

Annarita Bova
Schianto auto-bus a Boara, il racconto: «Così abbiamo fatto uscire tutti dal pullman»

Testimonianza di due giovani del Camerun Erano sulla corriera che si è rovesciata

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Coccanile «Ho visto il martello rosso, l’ho preso e ho spaccato il vetro del finestrino. Sono uscito e salito sul tetto della corriera e mentre il mio amico Francois spingeva la gente fuori, io la tiravo su. Abbiamo messo in salvo tutte le persone presenti in quel bus”. Jeanuot Joel Tewondioh ha 25 anni e un figlio in arrivo. Sua moglie, incinta di sette mesi, era accanto a lui il giorno del tragico incidente in via Copparo nel quale ha perso la vita Erika Benini. La 35enne, alla guida della sua auto, si è scontrata con il bus Tper che arriva in direzione opposta.
«Siamo partiti da Ferrara per tornare a Berra, dove al momento abitiamo. Arrivati a Boara ho sentito il gran botto, il bus ha iniziato a sbandare e ho detto a mia moglie di aggrapparsi con tutte le sue forze al sedile davanti. Lo stesso ho fatto io. Quando la corriera si è rovesciata lei però è volata nel corridoio». L’uomo è riuscito a mantenere il controllo. Con loro viaggiava anche Francois Mitterand Bodjo, 36 anni. «Gli ho urlato qualcosa mentre con la coda dell’occhio ho visto il martelletto di emergenza. Sono riuscito a prenderlo e ho rotto il vetro della corriera, che intanto si era fermata su un fianco». Il 25enne con un balzo è salito sul tetto, «ho detto a Francois di aiutare mia moglie e dopo di lei abbiamo tirato fuori tutti gli altri. C’erano ragazzi, ma anche anziani. Non so quanto il tutto sia durato, mi è sembrato un tempo infinito». Solo quando anche l’ultimo passeggero è stato messo in sicurezza, l’uomo è tornato da sua moglie, intanto supportata dalle persone presenti. «Ho avuto paura per lei e per il nostro bambino, nascerà ad aprile. Stanno bene, per fortuna. I soccorritori come i medici sono stati bravissimi, mai smetterò di dire grazie».
La storia di questi due uomini, arrivati in Italia dal Camerun, è fatta di dolori e conquiste, ma soprattutto di viaggi verso la salvezza. «Nel mio Paese facevo il meccanico – racconta Jeanuot -. Avevo la mia officina, i miei clienti, la mia routine. Ma vivere lì è difficile, troppo. Così quando mia moglie è rimasta incinta abbiamo pensato che nostro figlio aveva diritto ad un futuro e siamo partiti». La famiglia è arrivata in Libia dopo aver attraversato il deserto e quindi a Lampedusa. E dall’isola a Berra. Stesso viaggio, ma ormai qualche anno fa per Francois Mitterand, che abita a Coccanile. «Le cooperative Azioni e Cidas ci stanno supportando. Soprattutto abbiamo trovato un forte aiuto in Ascaf, associazione degli studenti del Continente Africano, che ci sta seguendo passo dopo passo».
Jeanuot Joel Tewondioh è in Italia da soli tre mesi. «Mia moglie è stata dimessa, ad aprile nascerà il piccolino e io sto cercando lavoro. Sono un meccanico qualificato, metto la mia esperienza a completa disposizione. Voglio imparare, crescere professionalmente e dare tutto il possibile alla mia famiglia». Alla coppia serve anche tutto per il piccolino in arrivo: se qualcuno avesse vestiti o altro da neonato può contattare l’associazione. Francois Mitterand Bodjo ha invece sempre lavorato come stagionale e adesso «sto seguendo un corso da magazziniere. Cerco di studiare, di arrivare prima o poi ad avere un minimo di stabilità». E per finire, «vogliamo stringerci al dolore della famiglia Benini. Lo strazio di quei genitori non riusciamo a toglierlo dal cuore e pregheremo sempre per lei». Quindi, «grazie anche all’autista di Tper, che ha fatto il possibile, ai sanitari che sono intervenuti e alle forze dell’ordine. Ai medici dell’ospedale Sant’Anna e a quelli del Delta di Lagosanto. Dovremo portare il collare per qualche tempo, ma stiamo abbastanza bene. Un’ultima cosa: non sottovalutate quello che avete in questo Paese. Tutti si sono presi cura di noi e nulla era scontato...».