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Il caso

Ferrara, a 13 anni schiava della famiglia: matrimonio combinato e senza diritti

Daniele Oppo
Ferrara, a 13 anni schiava della famiglia: matrimonio combinato e senza diritti

Marito, suoceri e cognati di una donna vanno a processo per maltrattamenti

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Ferrara Un matrimonio combinato in Pakistan, che era già una gabbia in quel Paese e le cui inferriate non sono sparite con l’approdo della famiglia allargata in Italia. Anzi. La vita da incubo di una donna trentenne finisce in tribunale a Ferrara, dove marito, suoceri e due cognati sono accusati di maltrattamenti in famiglia.

I fatti, tra il Pakistan e l’arrivo nella provincia estense, coprono un arco temporale lungo almeno 13 anni, fino alla denuncia sporta dalla donna. Tredici anni nei quali la donna sarebbe stata, di fatto, costretta a fare da serva per tutti in casa, senza diritti, nemmeno quando era incinta e aveva bisogno di riposo assoluto. E insultata e umiliata, impossibilitata ad avere ed esprimere una propria volontà e visione del mondo, limitata in tutto, compresi gli spostamenti. Quando sbagliava, e in quelle condizioni era facile farlo, doveva chiedere scusa in ginocchio.

Aveva il suo bagno personale: quello fuori dall’abitazione, ridotto in condizioni pessime, l’unico tenuto così. Aveva la sua camera da letto: uno sgabuzzino privo di porta. Secondo l’imputazione, la donna doveva preparare da mangiare per tutti, sempre. Doveva lavare i panni per tutti, sempre. Eseguire ogni ordine, sempre. Come portare un bicchiere d’acqua a richiesta, anche se chi lo chiedeva ne aveva già uno in mano. Quando chiamava i suoi parenti, veniva sorvegliata. E poche anche le occasioni di tornare in Pakistan a trovare la sua famiglia. Ma proprio in occasione dell’ultima di queste, ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso: aver scoperto che la famiglia del marito non voleva che tornasse in Italia, in modo che lui potesse sposare la sua amante.

Non solo, anche la figlia avrebbe dovuto rimanere in Pakistan, in modo da dare corso al suo matrimonio già combinato. Mentre il figlio avrebbe dovuto essere allevato dalla famiglia paterna. La rinuncia ai figli è stata troppo per la donna, che autonomamente ha fatto ritorno in Italia e ha contattato il Centro donna e giustizia, che la ha offerto ospitalità e supporto, fino alla denuncia per maltrattamenti. La donna è assistita dall’avvocata Sara Bruno.

Il 18 marzo l’udienza preliminare. 


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