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Ferrara, bar chiuso 15 giorni: il Tar annulla la misura ma niente risarcimento

Alessandra Mura
Ferrara, bar chiuso 15 giorni: il Tar annulla la misura ma niente risarcimento

Una vittoria a metà per il gestore di un locale ferrarese

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Ferrara Una vittoria a metà, per il gestore di un bar ferrarese contro la chiusura del suo locale per 15 giorni disposta quattro anni fa dal questore con l’accusa di aver servito alcolici a minorenni. Pochi giorni fa il Tar dell’Emilia Romagna, accogliendo parzialmente il suo ricorso, ha annullato il provvedimento ma ha respinto la richiesta risarcitoria di 49.500 euro che era stata avanzata a riparazione del danno economico e di immagine subito.

In sintesi, i giudici hanno riconosciuto la sussistenza delle contestazioni relative alla misura adottata (mancata comunicazione e difetto di istruttoria) ma, paradossalmente, proprio l’insufficienza dell’attività di indagine non permette di provare se la chiusura fosse o meno giustificata. E, in assenza di questo dato certo, non è neppure possibile accogliere la domanda di risarcimento.

I fatti risalgono alla primavera del 2021 quando una ragazzina si era presentata in questura accompagnata dai genitori dichiarando che dieci giorni prima si era sentita male dopo aver bevuto alcolici serviti dal personale del locale, consumando due calici di vino bianco e due shottini, uno di tequila e l’altro di sambuca. Aveva aggiunto che con lei c’erano anche altre due coetanee che quel giorno avevano bevuto alcolici. Le due amiche erano state a loro volta ascoltate in questura, confermando di aver bevuto superalcolici senza che venisse loro chiesta la carta di identità, e di averlo fatto non solo quel giorno, ma anche in altre occasioni vista la facilità con cui potevano bere in assenza di controlli. Dichiarazioni che, unite ad altri elementi (una precedente chiusura di 5 giorni del locale per violazione delle norme anticovid e la vicinanza a una scuola) che avevano determinato la misura della chiusura per 15 giorni adottata d’urgenza per «pericolo della compromissione della sicurezza dei cittadini».

Il gestore aveva impugnato il provvedimento lamentando di non aver avuto la possibilità di accedere alle dichiarazioni rilasciate dalle tre ragazze, e di non avere avuto dunque piena facoltà di difesa. Il titolare respingeva come false le testimonianze delle minorenni, contestando il fatto che la chiusura fosse stata decisa solo sulla base delle informazioni fornite dalle ragazze, dieci giorni dopo i presunti fatti, senza effettuare alcuna attività di indagine sul posto in cerca di riscontri. Da qui anche la richiesta di risarcimento sia per il mancato incasso durante la chiusura, sia per il danno di immagine.

Esaminando il ricorso, nel quale di era costituito il Ministero dell’Interno, il Tribunale ha ricordato che la sospensione della licenza è un provvedimento cautelare, e non sanzionatorio, e come tale non prevede l’obbligo della comunicazione, tanto più che si tratta di una misura urgente - con ampia discrezionalità affidata al questore - per tutelare l’incolumità dei clienti e del pubblico in generale. Nel caso specifico però, osservano i giudici, a fronte di una misura così afflittiva come 15 giorni di chiusura, risultava necessario coinvolgere l’esercente nel procedimento, considerato che la Questura era stata informata dei fatti dieci giorni dopo che erano avvenuti; nell’immediatezza non era stato dunque possibile effettuare alcun sopralluogo, ma l’intera istruttoria si era basata ascoltando le giovanissime clienti. Che non per questo vanno considerate inattendibili, ma in assenza di accertamenti sul posto, le loro dichiarazioni non possono essere supportate da alcun riscontro.

Se dunque da un lato il provvedimento di chiusura va annullato, la vittoria per il gestore è amara perché non ci sono nemmeno elementi certi per provarne l’infondatezza, e quindi niente risarcimento. 


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