“Non ho mai colpito il mio ex”, parla la donna accusata di stalking e lesioni che ha anche ucciso il figlio
La verità di Amanda Guidi sugli avvenimenti dopo la fine del rapporto con l’ex compagno e sulla rissa nel bar a Portomaggiore. “Le minacce? So di aver sbagliato”
Portomaggiore «A quel tempo ero sempre ubriaca e fatta di cocaina, la mia percezione era diversa. Ora certe cose non le farei più, ho capito che sono sbagliate». Amanda Guidi, già condannata a 22 anni (ridotti in appello a 14 anni e 8 mesi) per l’infanticidio del suo bimbo, ha deposto ieri in tribunale al processo che la vede imputata di stalking e lesioni ai danni dell’ex compagno.
La donna ha fornito al giudice la sua versione sia degli avvenimenti seguiti alla fine del rapporto con l’uomo, sia della colluttazione avvenuta il 19 giugno dell’anno scorso in un bar di Portomaggiore e costata a lei e al nuovo partner, Romano Maccagnani (che sta affrontando a sua volta un processo con rito abbreviato), l’arresto con le accuse di lesioni e stalking. Quella di ieri, peraltro, è stata l’ultima udienza a cui la donna ha presenziato da detenuta. Accogliendo la richiesta del pm Stefano Longhi e delle difese (avvocati Marcello Rambaldi e Alessio Lambertini), e ritenendo attenuati i motivi della custodia cautelare in carcere, il giudice ha disposto, per il reato di stalking, di sostituire la misura con il divieto di avvicinamento alla persona offesa (assistita come parte civile dall’avvocato Gianluca Filippone), mantenendo in ogni caso una distanza di 500 metri, con applicazione del braccialetto elettronico. Nell’impossibilità di poter ricorrere al dispositivo, si applicherà il divieto di dimora nel Comune di Portomaggiore, misura comunque già in vigore da tempo in relazione all’accusa di lesioni. Il giudice ha inoltre conferito l’incarico alla dottoressa Michela Casoria di Bologna per una perizia psichiatrica.
Rispondendo alle domande del pubblico ministero, l’imputata ha di fatto negato la sua attiva partecipazione alla zuffa del 19 giugno 2024, e motivato le minacce e gli insulti rivolti al suo ex con il tentativo «di farlo smettere di insultarmi di continuo per la strada». Ha raccontato che l’uomo, arrabbiato per la fine brusca del loro rapporto (al mattino lei gli aveva inviato un messaggio affettuoso, alla sera gli aveva scritto che se ne andava di casa) e geloso per la nuova relazione, «ogni volta che mi vedeva mi urlava delle offese e sputava per terra». Queste, secondo il suo racconto, le ragioni che l’avrebbero spinta a reagire inviandogli messaggi ingiuriosi e con minacce di morte. Ma se voleva solo farlo smettere, allora, perché non denunciarlo? Le ha chiesto il giudice. «Sono andata dai carabinieri, ma mi hanno detto che senza prove non si poteva fare nulla», ha risposto l’imputata. In realtà, si potevano produrre i messaggi che anche l’ex le aveva inviato, le è stato fatto notare. «Sono stata stupida, allora non ragionavo, adesso ho capito di avere sbagliato». Il suo ex «non era affatto spaventato da me, anzi rideva quando mi insultava», ha proseguito, rovesciando il rapporto tra persecutore e perseguitato. Eppure, le è stato fatto notare, era stato l’uomo a bloccare il suo numero, e non viceversa. E di fronte al muro di silenzio, i messaggi minacciosi erano continuati e l’ “embargo” aggirato utilizzando il telefono di terze persone, come ha confermato anche una testimone.
Venendo alla sera del 19 giugno, l’imputata ha sostenuto di non aver colpito il suo ex con uno sgabello: «Ho solo fatto il gesto di sollevare la sedia, e poi l’ho messa giù». A far scattare la rabbia, ha sottolineato, il fatto che lui ad alta voce l’avrebbe apostrofata come “assassina”. Dopo aver brandito “a salve” la seggiola, sarebbe caduta a terra aggrappandosi all’ex e trascinandolo giù. «Poi quando mi sono rialzata lui e Maccagnani si stavano picchiando. È stato tutto rapido. La barista mi ha aiutata a rialzarmi e sono andata in bagno per controllare che non avessi segni in faccia». Nel frattempo un’altra cliente del bar aveva pensato bene di intervenire e spruzzare spray al peperoncino ai due contendenti. Finita la zuffa, l’ex era andato all’ospedale di Cona per farsi medicare. Lei no, nonostante il consiglio del suo attuale partner: «Perché non mi sono fatta refertare? Non lo so, in quel momento volevo soltanto andarmene a casa».