Pedopornografia, condannato per i video scaricati e condivisi
Un anno e mezzo di reclusione e 1.600 euro di multa, oltre al divieto di ogni contatto con minori. Il caso a Ferrara
Ferrara Un anno e sei mesi di reclusione e 1.600 euro di multa. Oltre al divieto perpetuo a incarichi, curatele o servizi riferiti a minori. I giudici hanno riconosciuto colpevole di detenzione e cessione a titolo gratuito di materiale pedopornografico un uomo di 47 anni, finito alla sbarra perché trovato in possesso di 30 video a contenuto pedopornografico (22 scaricati sul suo account Google Drive e di altri 8 nella app Telegram sul suo smartphone) e per aver condiviso il materiale con un altro utente, rimasto sconosciuto. Inizialmente gli era stato contestato il reato, più grave, di diffusione di materiale pedopornografico, accusa poi ridimensionata alla cessione gratuito quando è emerso che l’invio dei video era avvenuto in una chat “one to one”, limitata quindi a una sola persona e non estesa a un gruppo.
L’imputato aveva chiesto il rito abbreviato che comporta lo sconto di un terzo della pena. Le indagini della Polizia postale erano partite nel dicembre del 2022 da una segnalazione proveniente da un ente statunitense che si occupa della tutela del minori ed erano culminate in una perquisizione domiciliare nell’ottobre del 2022 e nel sequestro dei dispositivi elettronici dell’imputato. I successivi accertamenti, ha sottolineato il pm Longhi nella sua requisitoria, avevano permesso di appurare che tutti gli elementi relativi all’account di Google Drive e alla App Telegram oggetto di indagine, riconducevano a utenze telefoniche, mail e credenziali collegate all’imputato. Che, da parte sua, aveva ammesso di essere il “titolare” degli account incriminati, sostenendo però che le operazioni illegali erano state eseguite da un amico approfittando del fatto che avesse dimenticato lo smartphone a casa sua. «L’unica colpa del mio assistito è quella di essere stato imbranato e distratto» ha detto la difesa (avvocata Barbara Renzullo di Bologna) perorando la tesi del “terzo uomo”, tesi a suo parere non sufficientemente esplorata: «Il mio assistito è distrutto per queste accuse infamanti, non se ne fa una ragione», ha concluso. I giudici, al contrario, hanno ritenuto che durante il processo sia stata provata la penale responsabilità dell’imputato, tra 90 giorni le motivazioni.