Ferrara, Elisabetta Sgarbi tra libri e film: «Il mio lavoro? Sogno quotidiano»
L’editrice e regista si racconta: dieci anni fa la fondazione de La nave di Teseo. «Umberto Eco era il più determinato: era una questione di ideali e prospettive»
Ferrara «Il lavoro per me è un modo di dire tante cose, è l’espressione del mio modo di stare al mondo». Elisabetta Sgarbi, editrice e regista ferrarese, non si ferma mai. Studia, progetta, produce... Nel corso degli anni ha realizzato tanto ma per i bilanci ci sarà tempo, l’importante è andare avanti, guardare oltre. Questa instancabile determinazione e voglia di fare l’ha portata a girare film, creare festival e fondare una casa editrice. La nostra conversazione parte proprio da qui, da La nave di Teseo, avventura iniziata nel 2015 tra entusiasmo, coraggio e un po’ di sano timore.
Quest’anno La nave di Teseo compie dieci anni, che effetto le fa?
«Non mi piacciono i bilanci, perché sono abituata a guardare più avanti che indietro, però non posso negare due sensazioni: stupore, perché quando abbiamo iniziato non potevamo immaginare questi esiti, e orgoglio. Penso abbiamo creato qualcosa di nuovo e importante».
Che cosa ricorda di quei giorni?
«Ricordo che mia madre non stava bene. E le parlavo e le raccontavo. Lei non aveva dubbi, diceva: "Se hai deciso di fare questa scelta falla, mi dispiace perché in questi anni hai lavorato tanto bene, ma se non vuoi più restare dove sei, devi avere il coraggio di fare una scelta". Se ne è andata venti giorni prima che presentassi la mia lettera di dimissioni. Ero tranquilla perché avevo avuto la sua approvazione, lei doveva sempre sapere tutto di me. Mio padre non aveva dubbi "sai quello che fai", diceva. Mio fratello era un po’ spaventato. Temeva soffrissi molto. Ricordo in quel periodo sia la mia determinazione sia la mia paura. La determinazione era nutrita dalla sensazione di non poter accettare passivamente quanto stava succedendo. Umberto Eco era più determinato di tutti: era una questione di ideali e prospettive».
Nonostante l’entusiasmo non fu un passo facile.
«Licenziarsi per una scommessa tutta da costruire non era un gesto possibile a cuor leggero. C’erano però con me altri validi e coraggiosi guerrieri, senza i quali nulla avrei potuto fare: Mario Andreose, Eugenio Lio... Insomma, per noi era oggettivamente un salto nel vuoto, ma eravamo motivati e con molte speranze».
La Nave si è imposta nel mondo dell’editoria. Quanti libri avete pubblicato? Il traguardo di cui va più fiera?
«Ad oggi ne abbiamo pubblicati 1.511, ma non credo che il punto importante sia numerico. La cosa di cui sono orgogliosa è che abbiamo ricevuto tanti riconoscimenti per i nostri autori. Abbiamo per esempio acquisito prima che fossero premiati 3 premi Goncourt. Anche con il premio Nobel Jon Fosse è successa la stessa cosa. Tutte queste cose mi rinfrancano e mi fanno guardare avanti. Un’altra cosa di cui sono molto contenta è avere concepito una collana di poesia. Amo moltissimo la poesia ma non è semplice sostenerla».
Un sogno nel cassetto?
«Non saprei, ho sogni giornalieri che cerco di realizzare. E spesso li realizzo perché il mio lavoro è bellissimo. È già un sogno in se stesso essere editore».
Passiamo al cinema, altro suo grande amore. Il suo ultimo film è "L’isola degli idealisti", come nasce?
«Il mio cinema è sempre nato da scoperte fatte altrove. Con Vittorio in modo differente ne abbiamo fatte tante di scoperte. A un certo punto ho incontrato questo romanzo di Scerbanenco, di cui stiamo ripubblicando tutta l’opera, e sono rimasta colpita da come scardina i generi, trasformando in thriller un esperimento o meglio una sfida etica. Ed è questo che mi ha colpito: la riflessione su come ordine e trasgressione si tocchino. Io ed Eugenio Lio abbiamo lavorato alla sceneggiatura per anni. Eugenio ci ha lavorato davvero moltissimo».
Sta già pensando ad una nuova produzione?
«No, non ancora. Ho delle idee ma nulla che abbia già trovato una sua strada precisa. Però scalpito perché il cinema è la mia passione».
Le campagne ferraresi e il Delta continuano ad occupare un posto importante nel suo cuore. Perché?
«La campagna ferrarese è il luogo per me più familiare, quasi protettivo, con la sua nebbia e il suo silenzio. Debbo ringraziare mio padre per questo. Ne ha scritto molto, mi ha fatto bellissimi racconti, andava a pescare sul Canale dei cuori con mio zio Bruno. Negli anni sono tornata ad apprezzare questi elementi, tanto più alla luce della vita che ho a Milano, sempre "esposta", sempre piena di contatti, incontri, occasioni, stimoli. La pianura ferrarese, col fiume, la nebbia, i silenzi, un’atmosfera che sembra sempre sospesa nel nulla, custodisce per me qualcosa di impossibile altrove: una condizione metafisica perfetta».
Vive il suo lavoro come una missione. È sempre stato così o il suo approccio è cambiato nel corso degli anni?
«Il lavoro per me è un modo di dire tante cose, è l’espressione del mio modo di stare al mondo. Non concepisco vacanze o pause, ma non per senso del dovere; piuttosto perché le apparenti pause sono di solito piene di idee e quindi sono parte del lavoro. E nella mia famiglia abbiamo sempre vissuto così. Anche la farmacia era parte della casa. Il lavoro è sempre stato necessario per noi, anche per lo spirito».
C’è stato un incontro che le ha cambiato la vita?
«Ce ne sono stati tanti. Uno non saprei isolarlo. Certamente il mio percorso editoriale è iniziato grazie a Gian Antonio Cibotto e Mario Andreose».
Pensa ancora ai suoi genitori mancati nel 2015 e 2018?
«In questi anni ho sempre pensato che abbiano cambiato luogo, non che se ne siano andati. Mi sembra spesso di sentirli; sono dentro di me, forse. Mio padre, in fondo, a proposito di mia madre, ha detto la stessa cosa, nel volere questo titolo per il suo romanzo dedicato alla Rina, "Lei mi parla ancora"».
Che posto hanno occupato nella sua vita?
«Quello che è cambiato a un certo punto, con i miei genitori, è stata la gestione del tempo: negli ultimi anni, era come se loro fossero diventati i miei figli: li accudivo, richiedevano molte cure, in una forma di dipendenza reciproca che occupava le giornate. Ed era bellissimo. Ora continuo a cercarli. Come ho raccontato nel mio film autobiografico: "Gatto e la casa dei fantasmi". E sono sicura che sono vicini a me».