Ristorazione a Ferrara, lo chef: «Cuochi introvabili, i giovani vogliono la sera libera»
Vannucci del Portovino: «Stiamo per perdere un settore leader del made in Italy. Basta sussidi a chi ha 20 anni»
Ferrara Nel forno del ristorante "Portovino", in via Ripagrande, ci sono gli ossobuchi da «girare». Un gesto che Edoardo Vannucci, lo chef del locale inaugurato lo scorso dicembre specializzato in cucina toscana, ripete quasi ogni giorno. «Non voglio fare allarmismo - anticipa- ma questa teglia è solo un piccolissimo esempio di "made in Italy". La cucina italiana è famosa in tutto il mondo per la sua varietà, la sua storia, le tradizioni locali, la qualità. Ma servono cuochi e camerieri e oggi, anche se li cerchi per mesi, può capitare di non trovarli. I giovani vogliono la sera libera e chiedono di non lavorare nel week end. Stiamo per perdere una delle perle della nostra economia». Per lanciare il ristorante, a Ferrara, la famiglia Vannucci ha messo in stand by il locale gemello, stessa insegna, aperto a Massa Fiscaglia 32 anni fa.
«Pensavamo di poter accogliere di nuovo i clienti a gennaio ma non è stato possibile - racconta sconfortato lo chef - Non riusciamo a trovare il personale per rendere autonomo il ristorante di Ferrara e riprendere il lavoro nell’altro "Portovino". È chiaro che contiamo sui giovani ma da settimane non si presentano - e li cerchiamo - nemmeno cuochi più avanti negli anni. Siamo un marchio conosciuto in questa provincia, tanti clienti "storici" ci hanno seguito fin qui negli ultimi mesi. Purtroppo questa carenza di personale (che abbia almeno la formazione base per muovere qualche passo in cucina) non è solo un brutto segnale ma una minaccia che si sta profilando all’orizzonte per il futuro di un settore portante dell’economia nazionale e di questa città». Un modello alternativo sta prendendo piede, prosegue ironicamente il ristoratore: «Li chiamano home restaurant, social cooking. Ma siamo sicuri che il futuro della nostra gastronomia sia racchiuso tra le pareti di casa?». Il punto è che la carenza di lavoratori dipende da diversi fattori e non riguarda solo il settore della ristorazione. Ne stanno facendo le spese utenti e clienti di tanti servizi e imprese, dall’industria meccanica alla sanità, dall’artigianato (idraulici, elettricisti) al commercio.
«Però c’è un fenomeno che non capisco: le famiglie sono in difficoltà, chiedono tutele, ma i giovani, i figli, rifiutano molte tipologie di impiego. Credo che stiamo sbagliando qualcosa come genitori e come Paese - prosegue Vannucci - Quando ero ragazzino si andava a fare la campagna, si lavorava tutta l’estate ed era una tradizione diffusa. Così si alleggeriva il carico sui genitori. Oggi questa forza motrice del Paese la vedi troppo spesso seduta ai tavolini dei bar, trova un’occupazione per qualche mese poi lascia il lavoro e chiede il sussidio. E sono i genitori che li sovvenzionano. E lo Stato. È giusto - chiedo - garantire una sorta di stipendio statale ad un giovane di 20-30 anni? Davvero quel giovane non riesce a trovare qualcuno che lo assuma? E sottolineo: proprio oggi, con la carenza di manodopera che c’è?». Vannucci indica la postazione all’ingresso. «Lì dentro ho una dozzina di curriculum, solo persone straniere. Ma non hanno formazione, non posso tenere in cucina ragazzi a cui per mesi non posso affidare alcuna mansione. In cucina siamo io e mia moglie, Simona, ora c’è un ragazzo che sembra promettente ma siamo fermi qui». Il tema degli stipendi, troppo bassi in Italia, è stato il tema centrale di un recente intervento del Capo dello Stato.«Ma di cosa stiamo parlando? - risponde lo chef - Posso dare 2mila euro a un ragazzo che sa poco o niente delle aree di lavoro, dei tempi di cottura, dello spadellamento, della mantecatura? Spesso chi arriva qui conosce la teoria, ma in cucina si lavora, c’è poco tempo per la didattica, soprattutto oggi. E - attenzione - non parlo solo di giovani. Ho chiesto anche a chi lavorava qui prima del nostro arrivo la disponibilità a restare ma cercavano qualcosa che li impegnasse meno ore. Altro fattore non proprio irrilevante: le spese sono cresciute per tutti, anche per chi fa ristorazione e i prezzi in sala non si possono alzare con la stessa frequenza».
Vannucci, da mesi, vive di fatto nel ristorante. «Qui passo 16-17 ore al giorno e non conto il viaggio di andata e ritorno - aggiunge - Gli orari di un cuoco, lo riconosco, non sono leggeri, dalle 8.30-9 fino alle 14-15, e poi dalle 17.30-18 a sera inoltrata. Ma non è che in passato fossero molto diversi. Qui darebbe una mano anche qualcuno che potesse essere autonomo almeno a preparare l’insalata, a controllare se nel frigo c’è tutto quello che serve». Come se ne esce? «Il governo - conclude lo chef - non sta gestendo la crisi: occorrerebbe bloccare le licenze, troppi operatori non hanno le carte in regola e rovinano il mercato, aprono e chiudono; gli incentivi bisognerebbe darli a chi ha dimostrato di saper stare per anni sulla piazza (responsabilità e qualità); e poi, basta assistere con sussidi chi ha 20-30 anni! Diamoli a chi ha davvero bisogno».
Gi.Ca.