Rito voodoo al consigliere. E la minaccia: «Quando torno ti uccido»
L'avvocato ferrarese Enrico Segala da settimane riceve messaggi minatori dopo un’espulsione: «Episodio spiacevole, ma continuo a impegnarmi per l’integrazione»
Ferrara Schivo, incerto se raccontarla o meno, risoluto nel ribadire che il suo pensiero, e le sue azioni, sia dal punto di vista umano che professionale, non cambieranno direzione. Enrico Segala è un consigliere comunale del Pd, ed è un avvocato penalista attivo nelle questioni che riguardano i migranti. È stato lui ad assistere la donna vittima di estorsione nel processo alla mafia nigeriana. L’episodio che lo vede suo mal grado protagonista è legato alla sua attività in questo campo: minacce ricevuto da un cliente, da poco riaccompagnato in Nigeria. Minacce particolari, non solo di ritorsioni fisiche apprezzabili direttamente, ma anche quelle di divenire oggetto di un rito voodoo, una maledizione che lo perseguiterà e lo porterà alla morte.
Segala, che sta procedendo per una eventuale denuncia, nelle ultime settimane è stato tempestato di messaggi e chiamate su WhatsApp da diversi numeri di telefono tutti riconducibili al suo cliente, un uomo nigeriano di 39 anni, che lo accusa di non aver fatto niente per evitare che venisse espulso e riaccompagnato nel suo Paese natale.
Accuse che si traducono nella richiesta di restituirgli il denaro e nelle minacce di conseguenze che affronterà quando il 39enne ritornerà in Italia. Nel frattempo, gli ha fatto sapere il cliente, la foto dell’avvocato è già finita nelle mani del “native doctor”, capo spirituale nelle comunità rurali della Nigeria, con il potere di effettuare i riti voodoo. «Ridammi i soldi o morirai come un pollo con la tua macchina», è uno dei messaggi. In un altro è ancora più esplicito: «Quando torno in Italia ti uccido». Ancora: «Se pensi che in Nigeria non possa far niente, posso invocare il tuo spirito».
Chiaro, va fatta la tara dei contenuti, e se dai voodoo nella nostra cultura ci si sente poco o niente vincolati e minacciati, quei messaggi hanno contenuti più razionali che si lasciano prendere sul serio. La “colpa” di Segala è quella di non aver evitato l’espulsione del 39enne. Questo nonostante avesse presentato un’opposizione al decreto di espulsione emesso dalla questura di Bologna – il secondo nei confronti dello straniero (il primo venne bloccato perché era in corso una nuova richiesta di protezione in Italia, già più volte respinta) - che il giudice ha ritenuto di non dover sospendere, permettendo così di dar corso all’accompagnamento dell’uomo al Centro di permanenza per i rimpatri di Gorizia e al successivo accompagnamento in Nigeria.
«Il lavoro di avvocato è diventato sempre più difficile, perché è aumentata la povertà e con essa il disagio – commenta Segala –. Ci sono tanti casi simili ed è in aumento la conflittualità, a volte chi ci rimette è il legale che cerca di risolvere i problemi e fare da mediatore. Questo è il primo episodio spiacevole in dieci anni di professione. Non mi ferma di certo, mi impegnerò ancora per il lavoro, l’integrazione e la tutela dei più deboli».
© RIPRODUZIONE RISERVATA