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Il caso

Fine vita, muore prima dell’udienza. L’avvocato ferrarese: «Lo Stato decida sul suicidio assistito»

Fine vita, muore prima dell’udienza. L’avvocato ferrarese: «Lo Stato decida sul suicidio assistito»

Il paziente era affetto da Sla. Fersini: «Noi contro la delibera regionale: materia da definire in parlamento»

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Ferrara Il fine vita in Italia continua ad essere uno spartiacque che divide coscienze, posizioni politiche ed esperti di diritto. L’ultimo caso trattato da un tribunale ha avuto un esito avvilente: un paziente affetto da Sla, che ha richiesto il suicidio assistito, è deceduto alla vigilia dell’udienza fissata giovedì scorso davanti al Tar dell’Emilia Romagna per l’esame di una richiesta di sospensiva presentata dalla consigliera regionale forzista, Valentina Castaldini, e da alcune associazioni pro-vita. Il ricorso aveva bloccato l’iter sanitario richiesto dal paziente. A rappresentare le loro posizioni davanti ai giudici c’erano un avvocato di Padova, Domenico Menorello, e un legale di Ferrara, Francesco Fersini. Essendo deceduto il paziente, il procedimento è stato dichiarato cessato.

«La richiesta di sospensiva – spiega Fersini – riguardava un aspetto eminentemente giuridico. La Regione Emilia Romagna ha infatti introdotto nell’ordinamento un semplice atto amministrativo (cioè una delibera di giunta) che consente il suicidio assistito ma non è stato approvato dal Consiglio, come è invece avvenuto in Toscana. La nostra posizione è che su questa materia non possa decidere nè una giunta regionale (atto amministrativo) nè il Consiglio (legge). Riteniamo che la competenza possa essere solo dello Stato». Che però sulla questione è muto da anni.

In Italia, infatti, un paziente può chiedere l’interruzione di terapie per il sostegno vitale, un diritto riconosciuto dalla legge 219 del 2017 (le cosiddette Dat, Disposizioni Anticipate di Trattamento) e può accedere anche al suicidio medicalmente assistito, ma solo grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 242 del 2019. Nessuno dei due casi citati implica quanto è consentito dall’eutanasia, cioè la morte di un paziente ad opera di un’altra persona per esplicita richiesta del paziente stesso, gravemente ammalato, che intende interrompere con questa modalità le proprie sofferenze. L’eutanasia in Italia è vietata.

Trattando questi temi ci si addentra in un campo delicatissimo, nel quale interagiscono implicazioni e aspetti di ordine religioso, politico, etico, sanitario, attinenti alla sfera dei diritti personali inviolabili. In generale la politica, nel nostro Paese, si sta muovendo su questo terreno con grande difficoltà e disagio. Sono serviti molti anni al Parlamento, e un fiume di polemiche, per approvare la legge sulle Dat. Sul suicidio assistito, cioè l’intervento medico che consente al paziente di togliersi la vita (ma deve essere il paziente a compiere direttamente l’atto) le Camere, seppur ripetutamente sollecitate dalla Corte Costituzionale che ha emesso specifiche sentenze, sono rimaste finora silenti. Il campo è rimasto libero quindi per le Regioni che sono intervenute con disposizioni di diverso grado.

La Toscana ha approvato una legge regionale lo scorso febbraio, già impugnata dal governo, che consente il suicidio medicalmente assistito in presenza di determinate condizioni: patologia che comporta irreversibilmente il decesso, la presenza di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche e di trattamenti di sostegno vitale, la capacità del paziente di intendere e di volere. L’Emilia Romagna, dopo che un analogo provvedimento era stato bocciato dal Consiglio in Veneto, ha adottato una delibera di giunta, la n. 194, a febbraio 2024. Le condizioni per l’autorizzazione della procedura sono molto simili a quelle fissate dalla legge della Regione Toscana. «Ma non può essere una semplice delibera di giunta, anche se di una Regione, ad autorizzare un percorso che incide su questioni così sostanziali e complesse. Se la questione si riproporrà in questi termini, in questa regione come in altre, sono prevedibili altri ricorsi», commenta Fersini.

Nei giorni scorsi a Ferrara, durante un incontro pubblico, Loretta Gulmini, un’oncologa dell’Asl, direttrice dell’Unità operativa di Cure palliative, aveva annunciato che «un paziente poco più che cinquantenne affetto da Sla mi ha comunicato con il puntatore che per lui è arrivato il momento di dire basta. Ha chiesto di essere lasciato andare se va in arresto cardiaco». È un caso diverso da quello che era in agenda, giovedì, al Tar di Bologna e fa riferimento al diritto del paziente di sospendere trattamenti che si possono configurare come accanimento terapeutico, come previsto dalla legge nazionale 219.

Gi.Ca.

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