Ferrara, detenuto sale sul tetto del carcere e minaccia di lasciarsi cadere
«Molti detenuti utilizzano i gesti dimostrativi per poter avere qualcosa, perché in carcere è difficile ottenere anche alcuni diritti». La garante lancia l’allarme anche sulle cure sanitarie
Ferrara Momenti di forte agitazione, ieri mattina alla casa circondariale di Ferrara, dove un detenuto è riuscito ad arrampicarsi fino al tetto e da lì ha minacciato di lanciarsi se non fosse stata ascoltata la sua richiesta di trasferimento in un altro istituto. L’azione di protesta, decisamente forte, è durata circa mezz’ora. Allertati gli agenti della Polizia penitenziaria e anche i Vigili del fuoco. Dopo pochi minuti il detenuto, che risulta non essere nuovo a tali forme di protesta, ha desistito e tutto è tornato alla regolarità.
I gesti dimostrativi non sono una novità nell’ambiente carcerario. «Molti detenuti utilizzano i gesti dimostrativi per poter ottenere qualcosa, perché in carcere è difficile ottenere anche alcuni diritti – osserva Manuela Macario, garante dei diritti dei detenuti –. Ricorrere allo sciopero della fame, ma anche a forme di autolesionismo, rientra tra le opzioni che i detenuti a volte trovano per attirare l’attenzione». Il sovraffollamento gioca un ruolo importante in questa condizione: «Quattrocento detenuti sono tanti, ognuno coi propri bisogni, e non è semplice porre l’attenzione su tutti». Ma non c’è solo questo. Anzi, la garante punta i riflettori su quello che sembra un problema grave, l’accesso ai trattamenti sanitari da parte dei detenuti. «Ciò che ho riscontrato e di cui mi sto facendo carico come garante – spiega – è che ci sono detenuti con condizioni patologiche di vario tipo che vengono affrontate con tempistiche o approcci terapeutici o attenzione non consona al tipo di patologia». Macario offre un esempio: «Ho avuto un lungo carteggio con la direttrice sanitaria e il responsabile della privacy per ottenere la cartella clinica di un detenuto, che non ci è stata data (la domanda, ci hanno detto, gliela deve fare l’avvocato e devono pagare), per sapere quali erano le tempistiche per un intervento». L’uomo, da quanto riportato, ha subito una «frattura nel mese di luglio 2024, non riscontrata in area sanitaria, e ora ha una gamba nera da otto mesi. La prima volta che è andato in ospedale, da luglio, è stata a febbraio. Mi hanno detto che lui ha rinunciato ad agosto a settembre ad andare al Pronto soccorso, ma lui mi ha detto che nessuno glielo ha chiesto, e non ci sono fogli che lo attestino, è la parola sua contro la loro. Ma anche se fosse vero, nessuno si è preoccupato di convincerlo? Ora pare che sia in lista per un’operazione, ma è passato un anno e sembra che rimarrà una disabilità permanente. È un caso di trascuratezza e non è l’unico – afferma ancora Macario –. Tanti mi segnalano ritardi, tempi lunghi, di non riuscire ad accedere alle terapie nei tempi che servirebbero, e questo porta le persone a fare gesti dimostrativi. Ho chiesto un incontro alla direttrice generale dell’Ausl. C’è un diritto che non viene garantito come viene garantito a noi fuori dal carcere. Capisco che i detenuti siano molti, le richieste di tutti i tipi e non tutte urgenti, ma ci sono situazioni da seguire». Le lungaggini, concede la garante, sono dovute «a tanti motivi, dal sovraffollamento alla burocrazia che ha i suoi iter», ma quello sanitario è un problema che necessita, pare, azioni, investimenti e forse riorganizzazione rapidi. E questo dipende dell’Ausl non dal carcere. «La nuova direttrice ha una grandissima attenzione nei confronti dei detenuti e sta dando una certa impostazione a chi lavora nel carcere che vorrei che venisse raccolta da tutte le parti, anche da chi non dipende dalla direzione carceraria».
© RIPRODUZIONE RISERVATA