Fatture false per evadere l’Iva. Condanna per l’ex consigliere di Cento
Alla ex società informatica di Paolo Matlì confiscati 750mila euro: tra 2012 e 2013 si era avvalso di società cartiere per ingannare il Fisco
Cento Dichiarando infondato il ricorso, la Corte di Cassazione ha reso definitiva la confisca di oltre 750mila euro a carico della società Digital Cento, l’azienda di Paolo Matlì, ex consigliere comunale e provinciale e coordinatore del Pdl centese, poi entrato in Fdi e fondatore di Orgoglio centese.
Matlì era stato condannato nel 2022 dal tribunale di Ferrara per false dichiarazioni al Fisco, per aver utilizzato negli anni di imposta 2012 e 2013 fatture per operazioni inesistenti in un meccanismo di “frode carosello” con l’uso di società “cartiere” per evadere l’Iva. Nel giugno dello scorso anno la Corte d’appello aveva rivisto la condanna, dichiarando la prescrizione di uno dei due capi d’imputazione, ma disponendo comunque la confisca di 775.121 euro, pari al profitto del reato contestato e l'eventuale confisca per equivalente nei confronti dello stesso Matlì della somma di 14.161 euro, corrispondente al profitto del solo reato non prescritto.
Matlì aveva proposto ricorso per Cassazione, che è stato però rigettato a marzo. Particolarmente d’impatto alcuni passaggi della sentenza per confermare la bontà della decisione dei giudici territoriali. In uno si legge che «si è fatto leva sullo stabile inserimento della Digital Cento Srl (dal 2024 in liquidazione giudiziale, ndr), amministrata dal ricorrente, nel sistema di frodi carosello correlate alla sistematica interposizione - tra le società acquirenti di prodotti tecnologici, come la Digital Cento, ed i venditori esteri - delle società “cartiere” individuate nella Im Trade Srl e nella Astra Tecnologie». I supremi giudici confermano che quelle società erano delle cartiere: in un caso su aperta confessione dell’amministratrice, nell’altro perché l’amministratore risultava nullatenente e la società aveva una sede legale inesistente nell’indirizzo dove era stata indicata.
Molto duro l’estratto di un altro passaggio, dove si dà atto delle risultanze probatorie che portano a escludere la “buona fede” di Matlì nelle operazioni commerciali con la Astra Tecnologie. «A tal proposito – osserva la Corte – oltre all'intrinseca inverosimiglianza dell’ipotesi per cui il Matlì non si sarebbe accorto di trattare con una società priva di sede legale ed operativa, amministrata da soggetto nullatenente, ecc., nella sentenza impugnata si è posto in evidenza: che l’affermazione dell’imputato di essersi recato a far visita alla sede legale della Astra, in occasione di un suo viaggio a Roma, risultava del tutto inverosimile, alla luce di quanto accertato presso l’indirizzo della sede medesima; che la singolare conservazione da parte del Matlì, a distanza di anni, di uno scontrino di un locale romano, prodotta per dimostrare il proprio viaggio nella Capitale, sembrava piuttosto accreditare l’ipotesi di una precostituzione di una prova documentale a sostegno della prospettata sua inconsapevolezza delle frodi (...)».
Per Matlì anche la condanna a pagare tremila euro
per le spese processuali.
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