Portomaggiore, in viaggio con i braccianti sull'Agribus
La risposta agli sfruttatori parte alle 4 del mattino con tre corriere. I lavoratori accompagnati nelle aziende contro il caporalato: «Quasi non ci sembra vero avere un servizio così»
Portomaggiore Dignità. Questa è la parola che più di tutte racconta il progetto Agribus, il servizio di trasporto dedicato alle lavoratrici e ai lavoratori agricoli dei comuni del basso ferrarese. Ieri mattina alle 4, tre corriere da 50 posti ciascuna sono partite dalla stazione di Portomaggiore e hanno accompagnato i braccianti nelle aziende. Ad ogni dipendente è stato consegnato un badge con nome, cognome e colore della linea da utilizzare. Una rivoluzione immensa per persone che troppe volte non hanno e non possono avere identità, che non sono nemmeno numeri ma solo braccia e schiene da sfruttare fino allo sfinimento.
A Ferrara e in particolar modo a Portomaggiore c’è chi ha avuto il coraggio di dire no. Aziende che non temono controlli, amministrazioni che sanno che direzione deve avere il percorso verso l’integrazione e poi Prefettura, forze dell’ordine, sindacati, Inps, cooperative: una rete fitta, delicata, presente.
Alle 3.30 il piazzale della stazione era già quasi al completo. I braccianti agricoli, su indicazioni dei datori di lavoro, si sono fatti trovare nel punto di raccolta. Quasi tutti abitano a Portomaggiore, non hanno auto o altri mezzi di trasporto e per loro raggiungere il luogo di lavoro è tante volte impossibile in autonomia. E è proprio da qui che entrano in scena, per la maggior parte delle volte, i caporali. «Mettono a disposizione auto e bus – racconta un mediatore -. Chi vuole lavorare deve sborsare circa 150 euro al mese e giornate infinite di fatica. Nelle aziende iniziano alle 6-7 del mattino e vanno avanti poi fino a circa le 14. Ma quando escono per tanti la giornata continua, altrove e sempre sotto ricatto di persone senza il minimo scrupolo». Da ieri mattina si è iniziata a respirare l’aria del cambiamento. Un segnale forte e chiaro è stato dato in primo luogo dai 150 lavoratori che senza esitare hanno scelto di salire sui quei bus, zaino in spalla e qualche certezza in più.
Di emozioni è difficile parlare. I volti sono seri, imperturbabili. Arshab Abdul resta sul marciapiede con il badge tra le dita. Lo gira e rigira, controlla il colore, guarda la tabella del bus e attende indicazioni. «Lavoro a Ostellato da tre anni – spiega -. Sono in regola, mi trovo bene. La speranza, prima o poi, è di riuscire ad avere la giusta stabilità per avere una casa e una mia famiglia». I sogni sono quelli di tutti, con qualche peso in più sulle spalle. Khan Ifran e Shabz Muhammad parlano poco e Ashfaq Muhammad traduce per loro.
«Quasi non ci sembra vero avere un servizio così – spiega -. Alcuni di noi, a dire il vero, hanno sempre potuto contare sulle aziende ma in questo modo è più semplice, più pratico». «Questa mattina, quando sono arrivato, ho avuto timore di fare confusione – aggiunge Ghafar Abdul -. Mi sono svegliato ancora prima del solito, forse anche un po’ agitato. Ma adesso so che devo prendere la linea rossa». Il primo bus è partito alle 4 in punto. Portomaggiore-Ostellato-San Giovanni. Trentacinque minuti di viaggio, in sicurezza. «Di solito ci davano un passaggio, qualcuno di noi che ha l’auto – racconta Ashiq Hussain -. Il punto di ritrovo è sempre questo, ma alle volte si fa anche il giro di alcuni paesi per caricare chi ha bisogno». Alle 4.30 altre cinquanta persone in viaggio verso Lagosanto e Pomposa e per loro la corsa dura quasi un’ora. Bakhsh Hazoor aspetta l’ultima corsa, quella che porta a Masi Torello. È agitato, ha paura di arrivare tardi. Gli viene spiegato che i titolari sanno che deve prendere la corriera e conoscono i nuovi orari. Alle 5 anche l’ultimo gruppo è in partenza. C’è chi guarda dal finestrino e chi abbandona la testa all’indietro e chiude gli occhi riuscendo, forse per la prima volta dopo tanto tempo, a fidarsi.
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