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Sanità a Ferrara, oltre 200 aggressioni. Il racconto: «Ho querelato ma il caso è stato archiviato»

Francesco Gazzuola
Sanità a Ferrara, oltre 200 aggressioni. Il racconto: «Ho querelato ma il caso è stato archiviato»<br type="_moz" />

La testimonianza di un medico: «Urla e insulti per una ricetta e il paziente ha anche provato a colpirmi». Calo nel 2025 ma le violenze continuano

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Ferrara Già il Consiglio all’unanimità aveva impegnato il sindaco su azioni volte a garantire la maggiore sicurezza per gli operatori sanitari; ieri il tema della sicurezza del personale sanitario è stato ripreso in commissione. Una seduta tutta informativa, durante la quale Nicoletta Natalini, direttrice delle aziende sanitarie, ha relazionato sulle azioni per ridurre il rischio e rendere più sicuri gli operatori.

Non prima dell’intervento di chi ha esperienza diretta, in una branca così delicata come la medicina generale. Perché «spesso quello che accade sul territorio passa in sordina, invece viviamo tutti le medesime situazioni». Michela Pastore si fa quindi portavoce dei medici di base e prova ad individuare le motivazioni che portano i casi di violenza a riproporsi più e più volte. «C’è una scarsa considerazione da parte della magistratura» afferma lei, riportando un episodio di aggressione fisica che ha subito sulla propria pelle da parte di «un paziente che era seguito da un professionista privato a Roma ed è venuto da me a richiedere alcuni esami, che gli ho prescritto. Tuttavia è tornato sostenendo che erano sbagliati: controllando ho notato che la dicitura era sì diversa, ma questo era dovuto alla differenza tra le regioni, mentre gli esami erano i medesimi. Non c’è stata spiegazione che tenesse, al che l’uomo ha alzato i toni, urlando e insultandomi davanti agli altri pazienti. Ha anche cercato di tirarmi un pugno, che fortunatamente ho evitato: all’arrivo dei carabinieri si è arrabbiato ancora di più, dicendo ai militari che mi avrebbe dato non uno, bensì tre colpi – prosegue la dottoressa –. Ho fatto la querela ma è finito tutto archiviato sostenendo che non vi erano testimoni. Davanti a queste impunità il rischio è che il “più insisto, più ottengo” venga legittimato. E invece dovrebbe essere il contrario. Altri medici, per evitare lo scontro, possono essere più portati ad assecondare le richieste, anche se non sarebbe corretto dal punto di vista clinico, e questo si traduce nei classici problemi della sanità, come le liste d’attesa».
Chiede chiarezza la dottoressa Pastore, e anche di fare «un mea culpa alla categoria, perché spesso c’è confusione nelle informazioni che noi operatori diamo ai pazienti».

I numeri

Caos e tempi dilatati sono senza dubbio tra le cause degli eventi di aggressione. «Nel 2024 sono stati 218 – illustra Natalini – così divisi: 85 per l’Azienda ospedaliero universitaria, 47 Ausl cittadina e 86 provinciale. Nel 2025, in sei mesi, siamo a 66, dunque, pensando in previsione, c’è stato un notevole miglioramento». Violenze – l’anno passato – perlopiù verbali (134), seguite da 77 aggressioni fisiche e 7 contro la proprietà. Il comparto maggiormente colpito rimane quello degli infermieri (67% nel 2024), così come le donne, «le più impiegate nel settore». Da segnalare che l’89% delle aggressioni non ha causato danni fisici – sempre l’anno scorso –, il 4% ha richiesto una visita medica con esiti minori e il 7% ha comportato necessità di trattamenti analgesici, visite mediche o esami strumentali. Pronto soccorso, Servizio psichiatrico ospedaliero intensivo e quello di diagnosi e cura: è qui che si registrano per la maggior parte i casi.

Le azioni

Cosa fanno le aziende sanitarie per tutelare gli operatori è presto detto. Innanzitutto, «una valutazione dei rischi psicosociali, aggressioni e stress correlato al lavoro, anche con sopralluoghi nei reparti operatori», a cui segue la redazione di un piano prevenzione della violenza, «con le azioni principali già messe in atto». Si sono introdotte figure – come il flow manager in pronto soccorso, volontari a supporto dell’orientamento, l’infermiere case management, tecnici della riabilitazioni psichiatrica – per ridurre i tempi di attesa e contenere quelli della degenza. Anche i totem negli ambulatori sono un sistema pensato in questa direzione, per eliminare le code. E per gli operatori a domicilio c’è una programmazione informatizzata. Si parla poi di attività di vigilanza, «che può essere un deterrente ma non la soluzione», specifica Natalini, telecamere, sistemi di supporto e formazione dedicati agli operatori (come il Gruppo di benessere), oltre a campagne di sensibilizzazione alla popolazione. Ricordando sempre che «si fa prevenzione e non repressione».

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