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Mascellani si difende: «Il crac è stato un insuccesso. Non c'è alcun piano di dolo»

Alessandra Mura
Mascellani si difende: «Il crac è stato un insuccesso. Non c'è alcun piano di dolo»<br type="_moz" />

L'imprenditore ferrarese a processo per bancarotta, la difesa: «Nessun arricchimento personale». Sono nove gli anni di condanna chiesti dalla procura

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Ferrara Quello a Roberto Mascellani è il processo a un insuccesso imprenditoriale, in cui l’imputato sconta il fatto di non aver previsto, nel 2006, che nel 2013 le sue società sarebbero fallite. Su questo rovesciamento di prospettiva rispetto alla tesi dell’accusa, poggia la difesa dell’imputato per il quale il pm Stefano Longhi ha chiesto la condanna a 9 anni per le bancarotte delle sue società Magazzini Darsena, Partxco (ex Sinteco), Cir Costruzioni e Sinteco Real Estate. Società che, secondo le indagini di procura e Finanza, erano state sistematicamente svuotate con una serie di operazioni infrasocietarie allo scopo di distrarre i fondi destinati ai creditori e assicurarsi un tornaconto personale, nell’ambito di un crac da circa 30 milioni di euro.

«Quando, nel 2025, un tribunale deve scrutinare l’atteggiamento psicologico del player della vicenda per fatti risalenti al 2006, la prudenza è d’obbligo», è la premessa del difensore per allontanare l’ipotesi del dolo, dopo aver ricordato che «l’ingegner Mascellani, nel bene e nel male, ha fatto la storia economica della città, e dato lavoro a centinaia di persone. Ogni attività imprenditoriale ha per sua natura tratti di incertezza perché esposta a forze non controllate, e nei processi per bancarotta il rischio è quello di criminalizzare l’insuccesso dell’imprenditore».

Per la difesa obiettivo delle operazioni contabili contestate dalla procura non era quello dell’arricchimento personale mettendo al sicuro il denaro dovuto ai creditori, ma ottenere un vantaggio compensativo. In altre parole ciò che poteva sembrare dannoso per una controllata, avrebbe portato benefici all’intero gruppo.

Ed è anche sul concetto di gruppo che si scontrano le visioni di accusa e difesa. Per la procura quello di Mascellani non era un vero gruppo societario, le società erano invece utilizzate per schermare e veicolare operazioni ritenute distrattive. Non così per la difesa, secondo cui la circolazione del denaro è avvenuta sempre intragruppo, puntando a ottenere il citato vantaggio compensativo «e sempre con l’avallo delle banche».

Così sarebbe avvenuto, ha proseguito Pieraccini, nel caso della compravendita delle azioni Carife. Nel 2006 Mascellani aveva erogato un finanziamento da 6 milioni di euro alla Sinteco Real Estate per consentirle l’acquisto di un pacchetto di azioni Carife messe in vendita dallo stesso Mascellani. Tre mesi dopo, nella ricostruzione della procura, Sinteco Re aveva rivenduto le azioni ma i 5 milioni di euro ricavati non erano finiti verso la Magazzini Darsena, a restituzione del prestito, ma su un conto svizzero intestato a una società lussemburghese riferita allo stesso Mascellani.

Secondo la difesa, questo non rappresentò un atto distrattivo. Primo, perché «nessuna clausola vieta di erogare finanziamenti a una società controllata prima che venga soddisfatto il debito bancario; a essere vietato è il rimborso del credito». Secondo: «Non è vero che la Sinteco Re era una scatola vuota, una società priva di attività. Nel 2006 aveva un patrimonio immobiliare di 42 milioni di euro ed è difficile sostenere che, allora, non ci fossero le condizioni per ottenere un vantaggio compensativo, né che non ci fossero garanzie per la restituzione del prestito. Non poteva essere formulata una prognosi di pericolo della garanzia per una società che sarebbe fallita nel 2013. Perché si parli di bancarotta ci deve essere una società erogante in crisi e la dubbia solvibilità dell’erogato, nel 2006 non era così, la società non si trovava in dissesto e lo stato di difficoltà non si può dedurre dal mancato pagamento dei canoni di affitto». Terzo: «il fatto che i soldi siano finiti in Svizzera non ha nulla a che vedere con questo processo. C’è stato un bene (le azioni) venduto a prezzo di mercato e cosa importa poi di cosa ne ha fatto del ricavato?».

Considerazioni alla luce delle quali la difesa ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste, o non costituisce reato, e la restituzione 4 milioni di euro sequestrati dalla procura a tutela dei creditori.In caso di condanna, le difese hanno quantificato in 200mila euro il danno massimo risarcibile, per l’effetto delle azioni di rinuncia transattive compiute dal fallimento in sede civile. Il processo riprende il 26 settembre. 


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