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Retribuzioni in sanità a Ferrara. Donne molto indietro: solo 8 nella top 30

Retribuzioni in sanità a Ferrara. Donne molto indietro: solo 8 nella top 30

La Fp Cgil: «Tra i più pagati solamente gli uomini. Su potere economico e istituzionale la parità è più lontana»

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Ferrara La pubblicazione degli stipendi dei dirigenti dell’Asl, sulla Nuova Ferrara dell’11 luglio scorso, ha fatto riemergere la questione “di genere”, legata in questo caso alla valorizzazione economica del lavoro delle persone. Ad intervenire sul tema è la Fp-Cgil di Ferrara. «Scorrendo la graduatoria dei dirigenti dell’Asl si rileva che nelle prime 14 posizioni ci sono solo degli uomini, dirigenti medici che sommano al proprio stipendio i proventi che derivano dall’esercizio della libera professione, questione che a ben guardare la classifica pare essere quasi un affare esclusivo del genere maschile». La tabella riportava ai primi posti quattordici nomi di medici o direttori, tutti uomini, prima dei compensi di Franca Emanuelli, responsabile della Neuropsichiatria infanzia e adolescenza e direttrice del Dipartimento Salute mentale e Dipendenze patologiche dell’Asl, e di Clelia De Sisti, direttrice dell’Igiene pubblica e del Dipartimento Sanità pubblica.

Fra i loro emolumenti e quelli dei professionisti in cima all’elenco lo sbilancio è di circa 100mila euro. Cifra che corrisponde, anche se in difetto, a quanto i primi della lista percepiscono dall’attività in libera professione che viene esercitata (e con successo, vista l’incidenza sullo stipendio finale) soprattutto da specialisti in ambulatorio, con minore frequenza da chi ricopre incarichi, anche di alto livello, meno legati alle discipline più richieste dai pazienti (cardiologia, urologia, ginecologia, ortopedia etc.). Nella tabella compaiono altri sei nomi di donne nel novero dei trenta dirigenti più pagati dell’Asl: in totale, quindi, sono otto.

Il sindacato ricorda «che i rapporti sul gender gap economico evidenziano come l’area del potere politico e quella del potere istituzionale siano quelle in cui la parità appare più lontana. L’ingiustizia di genere nasce sia da disuguaglianze economiche sia da modelli culturali e pertanto per contrastarla necessitano politiche contro la povertà e lo sfruttamento sia politiche per contrastare il sessismo». Il traguardo dovrebbe essere «un riordino normativo volto ad affrontare i nodi culturali (l’accesso alle carriere, la selezione delle candidature, il merito per l’accesso ai ruoli di responsabilità, ecc.) e a riempire i vuoti della pratica amministrativa, anche attraverso la contrattazione collettiva ed integrativa. Oggi una donna che decide di diventare madre, nel contesto pubblico e nel sistema della performance aziendale, deve affrontare strutturalmente una riduzione dello stipendio, questione che già nella contrattazione abbiamo affrontato e che ci ha permesso di fare qualche piccolo passo avanti evidentemente non sufficiente. Non bastano le donne al comando – la conclusione – servono alleanze e un cambiamento culturale profondo, politiche antidiscriminatorie e pratiche amministrative improntate sul merito e sulle competenze, abbattere gli stereotipi e parlare un linguaggio inclusivo». 

Gi.Ca.

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