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L’indagine

Omicidio in ospedale ad Argenta, verifiche su altri pazienti

Daniele Oppo
Omicidio in ospedale ad Argenta, verifiche su altri pazienti

L’inchiesta continua con l’analisi sul comportamento dell’infermiere in corsia: verifiche anche sui pazienti in vita per l’eventuale somministrazione di sedativi. Tra gli indizi, il tempo di azione dell’Esmeron è stato fondamentale

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Argenta Tra i vari indizi che hanno portato i carabinieri e la procura di Ferrara a sospettare fortemente che l’infermiere Matteo Nocera abbia voluto uccidere, uno importante è dato dal tempo. È il tempo di azione dell’Esmeron, il farmaco miorilassante che può essere usato solo sotto il controllo di medici anestesisti specializzati ed esclusivamente per l’intubazione dei pazienti, e presente a tale scopo nel “carrello delle emergenze” del reparto lungodegenti dell’ospedale Mazzolani-Vandini di Argenta. Se non accompagnata rapidamente dall’avvio delle procedure di ventilazione meccanica – ovvero la respirazione assistita dalle macchine per fornire aria ai polmoni – la sua somministrazione è letale perché, di fatto, induce il blocco della respirazione spontanea.

Secondo gli inquirenti, Nocera – indagato per omicidio volontario e da alcuni giorni è in custodia cautelare in carcere, a Ravenna – lo avrebbe somministrato al signor Antonio Rivola, morto a 83 anni il 5 settembre del 2024. Il tempo è importante perché quando Rivola è deceduto, secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti Nocera era l’unico infermiere presente al piano (chiamato “Settore giallo”, che dà il nome anche all’indagine).

Tracce di Esmeron (il cui principio attivo è il bromuro di rocuronio, parente stretto del veleno, noto come curaro, usato per le punte da freccia dalle popolazioni indigene amazzoniche) sono state trovate negli esami tossicologici compiuti sulla salma di Rivola, presenti in più tessuti e soprattutto nelle urine, particolare che ne indica una somministrazione recente prima del decesso. Da qui le indagini sono andate a ritroso, anche con l’aiuto dei carabinieri del Nas di Bologna, che hanno ricostruito la catena di ordinativi, presenze, usi e smaltimento dei medicinali transitati nel frigorifero del reparto, constatando la mancanza non giustificata di quattro fiale di Esmeron, che non sono state ritrovate e non si sa che fine abbiano fatto.

Anche il caso ha dato un suo contributo. La salma di Rivola era ancora a disposizione venti giorni dopo il decesso solo perché l’anziano era in regime di amministrazione di sostegno e dovevano essere sbrigate alcune pratiche burocratiche per la sepoltura. Il 24 settembre i sospetti di alcuni colleghi e della coordinatrice infermieristica, dovuti a comportamenti considerati non in linea con i protocolli, si sono coagulati su Nocera dopo la morte della signora Floriana Veronesi, deceduta a 90 anni. Si temeva fosse stata uccisa usando un altro farmaco, il Midazolam, un potente sedativo del quale sono stati a sua volta riscontrati ammanchi. Gli esami tossicologici hanno dato esito negativo in questo senso, da qui la decisione di cercare altro e la scoperta delle tracce di “veleno” in Rivola. Un fascio di luce, in mezzo ai molti punti oscuri che permangono sull’intera vicenda, più ampia e difficile da ricostruire in maniera piena e che riguarda anche le cure prestate ad altri dieci pazienti ancora in vita. 

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