Sfruttati nei campi a 5 euro l’ora e in 18 stipati in casa. Manette a un “caporale”
Un 47enne pakistano ai domiciliari dopo la coraggiosa denuncia di un bracciante. Due anni di indagini dei carabinieri hanno portato a scoprire un fenomeno di caporalato tra Fiscaglia e Portomaggiore
Fiscaglia Costretti a lavorare nei campi anche 12 ore al giorno, sette giorni su sette, riposo settimanale quando capita, niente ferie né visite mediche, figuriamoci la formazione sulla sicurezza. Il tutto per una paga di 5-6 euro all’ora, un terzo a fronte di una spettanza di circa un terzo in più, perché la differenza se la teneva il caporale. A queste condizioni di lavoro disumane ha deciso di ribellarsi un coraggioso bracciante pakistano di 30 anni residente nel territorio di Fiscaglia, che per primo ha denunciato la situazione di sopruso e sfruttamento ai carabinieri. Il suo gesto è stato di esempio per un’altra quindicina di vittime, e le preziose segnalazioni del gruppo hanno avviato un indagine che, dopo due anni, venerdì ha portato all’arresto di un pakistano di 47 anni e al sequestro preventivo di un immobile nella sua disponibilità dove vivevano stipate 18 persone.
L’uomo, che si trova ai domiciliari, è accusato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravata da minaccia e violenza, a cui si aggiungono il sequestro di persona e le lesioni aggravate. Condotte che, hanno appurato i carabinieri, si sono protratte senza interruzione dal 2020 fino a oggi. Le indagini condotte dal Nucleo operativo della Compagnia di Portomaggiore, con il supporto dei colleghi della stazione di Massa Fiscaglia e del Nucleo carabinieri Ispettorato del lavoro di Ferrara hanno fatto luce su uno spaccato di violenza e sopraffazioni confermando ancora una volta la forte presenza, nel Portuense del fenomeno del caporalato. Due anni, dopo la denuncia nel 2023, di servizi di osservazione, pedinamenti, interviste ai lavoratori e altre attività per documentare la condotta del caporale. Riscontri confluiti in un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Ferrara che ha accolto le tesi d’accusa formulate dalla procura e disposto l’arresto del 47enne e il sequestro preventivo dell’immobile.
Quello che emerge è un racconto di moderna schiavitù, spietata e inumana, che va ben oltre la contestazione di aver reclutato manodopera per il lavoro nei campi. I candidati erano spesso persone irregolari e quindi indifese, impiegate senza contratto e senza tutele in aziende agricole del Ferrarese e del Bolognese, sfruttando il loro stato di bisogno. E se questo non bastava, c’erano violenze e minacce. Oltre a lavorare in condizioni estreme, dodici ore al giorno senza praticamente riposo, i braccianti dovevano lasciare due terzi della loro già scarsa paga al caporale per la sua “attività” di mediazione dell’offerta di lavoro, di cura delle pratiche per ottenere ospitalità o residenza o per riscattarsi dal lavoro nero e regolarizzare la propria posizione: un verbo “regolarizzare” paradossale se proposto da un caporale.
Quest’ultimo procurava ai braccianti un posto da dormire, che altro non era che l’ennesima occasione di sfruttamento: il più delle volte si trattava di posti letto in abitazioni fatiscenti a 150 euro al mese, più altri 300 euro per vitto alloggio, spazi da condividere con altri sventurati come nel caso dell’immobile messo sotto sequestro dove vivevano ben 18 persone. Un altro “servizio” per cui il caporale si faceva retribuire era quello del trasporto casa-lavoro, a bordo di vecchie monovolumi e furgoni altrettanto malmessi, in precarie condizioni di sicurezza. Era vietato ammalarsi, perché un’assenza poteva costare molto cara, e peggio ancora ribellarsi per non incorrere nella minaccia di ritorsioni sui familiari rimasti in Pakistan o in “sanzioni” per presunte inefficienze che venivano incassate trattenendo parte del salario.
Uno dei casi più gravi emersi durante le indagini è stato il sequestro di persona compiuto dal caporale ai danni di un lavoratore, punito rinchiudendolo in casa per diverse ore, impedendogli di uscire con minacce e percosse. Per garantirsi il pieno controllo sui connazionali, il caporale manteneva, in via esclusiva, i rapporti con gli imprenditori agricoli presso cui i lavoratori venivano impiegati spesso in nero, occupandosi di riscuotere in contanti le paghe che poi, dopo le decurtazioni per i cosiddetti servizi resi ai lavoratori, riversava a questi ultimi. Nei casi in cui venivano formalizzati i contratti di lavoro e le spettanze, quindi, venivano versate mediante bonifico, una parte della somma accreditata veniva poi riconsegnata dai lavoratori, in contanti, al caporale.
«Il sistema, ormai rodato - sottolinea il Comando provinciale dei carabinieri in una nota - si regge dunque sullo sfruttamento dello stato bisogno dei lavoratori, che necessitano di denaro per ripagare il viaggio dal Pakistan all’Italia, o da inviare in patria, alle proprie famiglie bisognose. Lavoratori perlopiù sprovvisti di cultura e conoscenza della lingua italiana, sottoposti a ogni genere di intimidazione e vessazione e vittime di costanti violazioni della normativa sulla sicurezza e dei diritti dei lavoratori». Fino a quanto qualcuno trova il coraggio di alzare la testa, denunciare i soprusi e far arrestare lo sfruttatore.