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Violenza nella “Ferrara bene”: l'amico ridotto in schiavitù

Daniele Oppo
Violenza nella “Ferrara bene”: l'amico ridotto in schiavitù

Le motivazioni della condanna a 5 anni e 4 mesi per stalking e lesioni. Il giudice: «Era diventato un parassita in dominio assoluto». Alla vittima venne rotta la milza a furia di botte

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Ferrara Aveva rappresentato inizialmente la figura dell’amico sincero, addirittura del baluardo contro brutte compagnie che, in un periodo di grande difficoltà psichica, un 47enne si era ritrovato a frequentare e ospitare in casa. Invece si è ben presto rivelato a sua volta in una pessima compagnia, «un parassita» dominante, un aguzzino violento.

Sono nette le motivazioni della sentenza con la quale la giudice dell’udienza preliminare Silvia Marini ha condannato, a inizio giugno, a 5 anni e 4 mesi di reclusione Gabriele Moccia, rampollo della famiglia che ha dato origine alla nota azienda ferrarese di distillati (che è da molti anni controllata da tutt’altra compagine societaria).

Moccia, 43 anni, era finito a processo con l’accusa di stalking e lesioni gravissime nei confronti di quello che doveva essere un amico e che lui ha trasformato in uno schiavo, non rinunciando a imporsi su di lui con la violenza fisica: pugni, mani al collo, aggressioni. Fino all’ultimo episodio, risalente all’aprile 2024, quando la vittima aveva manifestato l’intenzione di mandarlo via di casa e lui gli ha rotto la milza a furia di botte, poi asportata con un’operazione chirurgica d’urgenza. Nel 2023 a seguito di uno sfratto, era stato accolto in casa dal 47enne, affetto da un disturbo schizoaffettivo e sottoposto ad amministrazione di sostegno dopo che aveva perso la capacità di controllare le proprie spese, a causa di altre compagnie profittatrici del suo stato di debolezza. Inizialmente era sembrato poter rappresentare una colonna per l’amico che lo ospitava, una protezione proprio contro le brutte compagnie, addirittura un punto di riferimento per il padre. Era solo una maschera iniziale. Presto ha preso il controllo, si è ad esempio “riservato” una camera tutta per sé, lasciando l’amico e padrone di casa a dormire sul divano. «Dagli atti – scrive la giudice – emerge una serie rilevante e costante di atteggiamenti molesti, minacciosi, vessatori, parassitari e, a tratti, anche acutamente violenti, coscientemente e volutamente mantenuti dall’imputato, col verosimile movente di indurre e conservare rispetto alla persona offesa una condizione di dominio pressoché assoluto, approfittando delle sue condizioni di benessere economico, fino ad indurlo a commettere anche azioni delittuose(...) al fine di soddisfare le proprie necessità». Il riferimento è all’intestazione di una carta prepagata per il compimento di raggiri e al furto di birre da un market, per il quale la persona offesa subì delle conseguenze penali.

«La sentenza – sostiene l’avvocato Simone Bianchi, difensore di parte civile – evidenzia la piena attendibilità del mio assistito, le cui dichiarazioni hanno trovato plurimi riscontri. Inoltre il giudice, a mio avviso, ha ben stigmatizzato il comportamento dell’imputato, il quale ha mostrato un atteggiamento estremamente violento, senza mai accennare al minimo pentimento per quanto accaduto e, soprattutto, disinteressandosi completamente delle condizioni di salute del mio cliente. Ribadisco che solo grazie allo sforzo di tutte le parti interessati, procura e difesa, si è evitato che questa drammatica vicenda potesse concludersi in tragedia. Ovviamente c’è soddisfazione per il risultato raggiunto il cui merito va anche e soprattutto al coraggio del mio cliente, che ha nonostante le pressioni psicologiche e le violenze fisiche subite, ha trovato la forza di denunciare». 

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