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L’anniversario

Il disastro che fu. «Scavai a mani nude per giorni. A Stava eravamo senza parole»

Dario Cavaliere
Il disastro che fu. «Scavai a mani nude per giorni. A Stava eravamo senza parole»

A 40 anni dalla tragedia, i ricordi del vigile del fuoco ferrarese Fausto Maranini, tra i primi soccorritori: «Un fronte di fango aveva azzerato tutto, non si aveva idea di cosa ci fosse sotto»

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Ferrara Le domeniche estive in un comando “piccolo” come quello di Ferrara, spesso scorrono a ritmo blando; nessun lavoro di casermaggio e il cortile interno della centrale dei vigili del fuoco di via Poledrelli si anima solo per le eventuali chiamate e le uscite dei mezzi di soccorso. Anche il campo da pallavolo, nel francobollo verde interno, attende che con l’ombra qualcuno magari lo calchi. Il 19 luglio 1985 era appunto domenica; il turno B aveva da poco finito di pranzare quando una inconsueta adunata di tutto il personale dal capoturno squassò la calma; metafora della vita dove in un attimo tutto può cambiare. Le notizie ancora frammentarie arrivate dall’Ispettorato regionale di Bologna parlano di un disastro idrogeologico, una frana in Trentino vicino a Cavalese che ha travolto un paese; deve partire la colonna mobile, l’insieme dei mezzi dei vari comandi dell’Emilia Romagna che si attiva in caso di grosse calamità. Gli ordini di servizio quotidiani riportano una apposita sezione con l’elenco del personale che in caso di emergenza deve attivarsi.

Nessuno ci bada più di tanto. Fino a casi come questo. Dalla parte più remota della rimessa vengono “riesumati” il “39”, abbreviazione familiare del Fiat 639, il mezzo da trasporto più usato dagli anni ’70 con un cambio che faceva impazzire il miglior autista e la Campagnola 1900. Un mezzo porta attrezzature, l’altro uomini. Fausto Maranini è fra quelli: 10 anni di anzianità, con Friuli e Irpinia alle spalle. Anche se giovane, si può considerare un veterano e punto di riferimento data la dimestichezza con le macchine movimento terra di cui sarà istruttore. Con lui per una squadra di “sostanza” Primo Zucchi e i gemelli Luciano e Germano Raimondi.

«Come sempre avviene in questi casi non pensi; parti e vai e lasci alle ore di viaggio il compito di farti capire cosa e come – dice Maranini –. Le notizie arrivavano via radio man mano che ci si avvicinava alla Val di Fiemme. Puoi aver fatto tutte le calamità del mondo ma non sei mai pienamente preparato e non sai mai cosa ti aspetta davvero. Poco prima di iniziare a salire ci dicono che dobbiamo andare a Tesero dove c’è una sorta di centro operativo e da lì ci avrebbero reindirizzato. Così facciamo; scarichiamo le tende al campo base dove iniziano a montarle e ci portano a Stava».

«Nei terremoti hai un riferimento, una casa crollata dove cercare – prosegue –. Qui il fronte di fango immenso aveva azzerato tutto; non un’idea di cosa ci fosse sotto. Emotivamente tosta come sensazione. Iniziamo subito a lavorare assieme a colleghi di altri comandi un po’ come si opera nelle valanghe. Con assi da cantiere si delimitano aree che vengono setacciate, perforate centimetro per centimetro con delle sonde alla ricerca di un segnale dal sottosuolo che possa indicare una persona. Dopo poco troviamo, sotto una spessa coltre fangosa, quello che pensiamo un corpo. Chiamiamo i cani da ricerca e scaviamo. Era lì, probabilmente una donna. Una comunicazione radio all’elicottero che volteggiava sopra le nostre teste con attaccato un cestone. Aveva il macabro compito di recuperare le salme e portarle via. Lo cala e noi mettiamo dentro il sacco con i resti. Non so quanti giri avrà fatto... Siamo rimasti ad operare in quella situazione e con quello scenario per 4 o 5 giorni. Non so quanti colleghi sono arrivati da tutta Italia ma fra permanenti e volontari il numero era enorme. Si provava a scherzare per quanto possibile, come forma di autodifesa, ma era sempre più dura. Con altri operatori siamo stati portati in elicottero su, da dove tutto è partito. Da lasciare senza parole».

Non è facile difendersi dalle emozioni per essere lucido e aiutare gli altri; devi indossare una sorta di scafandro che sì protegge, ma dentro logora. «Mentre scavavamo, ripensavo al terremoto del Friuli, dove sono arrivato dopo nemmeno un anno di servizio – dice Maranini –. Con un collega abbiamo salvato una giovane donna incastrata fra pietre e travi con addosso i giovani figli morti. Abbiamo scavato a mani nude un tunnel di oltre 10 metri dove procedevamo carponi fra scosse e crolli. Abbiamo avuto fortuna e l’abbiamo tirata fuori. Quella donna dopo tanti anni fece arrivare al Comando di Ferrara una lettera dove ringraziava i suoi salvatori con una simbolica medaglia. Ma quando salvi una vita non c’è medaglia che valga. A Stava questo miracolo non è stato possibile».

Dal 1976 Maranini le calamità le ha vissute in prima persona: i terremoti del Friuli, Irpinia, Marche-Umbria, L’Aquila, le alluvioni in Valtellina, Toscana, Puglia, sull’Etna. Fino all’ultimo in Liguria, poco prima del congedo nel 2011. «Cosa mi manca? Il soccorso, l’operatività. Non certo la burocrazia degli ultimi tempi. Adesso faccio divertire i bambini facendo Pompieropoli assieme ai colleghi pensionati dell’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco. Un modo per restare vicini all’ambiente e indossare ancora una divisa».

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