La Nuova Ferrara

Ferrara

Il processo

Ferrara, lettere minatorie di Arquà a Lodi. Una vicenda piena di incongruenze

Daniele Oppo
Ferrara, lettere minatorie di Arquà a Lodi. Una vicenda piena di incongruenze

L’ex vicesindaco in udienza: «Telecamere suggerite da questore e Digos»

4 MINUTI DI LETTURA





Ferrara «In sede non le avevamo, il questore mi disse di installarle. Ho incaricato una società di mettere telecamere all’interno di due auto, viste da Rossella Arquà: una era un’auto del Comune, l’altra di Fabio Felisatti. Il questore disse di fare una roba seria e incaricammo la società e le mettemmo all’interno, alla presenza della Digos, di notte, con la Securfox.. Ho pagato 500 euro di tasca mia».

La testimonianza di Nicola Lodi, parte civile (assistito dall’avvocato Carlo Bergamasco) nel processo sulla brutta vicenda delle lettere minatorie lasciate nella sede della Lega dal suo ex braccio destro, Rossella Arquà, offre uno spaccato di come la relativa indagine abbia visto collaborazioni, direzioni e protagonisti quantomeno inusuali. Un racconto che sembra lasciare a terra diverse discrasie con la versione “ufficiale” delle indagini. Se Lodi, ad esempio, dice che il «cambio di strategia» di installare le telecamere all’interno della sede fu «richiesto da Capocasa (Cesare, il questore del tempo, ndr) e D’Avino (Francesco, dirigente Digos)», quest’ultimo di tale fatto non ha dato la minima conferma: «Non fu un’installazione che chiese la Digos, motivo per cui non ci fu nessun passaggio documentale». Una questione non di piccolissimo conto, visto che alla Digos era stata negata l’autorizzazione a installare delle telecamere, chiesta il 26 maggio.

È emerso, peraltro, che Lodi ha cercato fin da subito di sviare Arquà sul motivo della presenza delle telecamere (che a dire il vero sembra abbiano funzionato poco), da lei notate e che lei sapeva fossero state fatte mettere da lui a partire dal 21 aprile, per non destare in lei sospetti. È stato uno dei punti in cui Lodi è apparso in difficoltà nel rispondere alle domande della difesa (avvocato Fabio Anselmo). Anche perché nel corso della sua testimonianza ha affermato che i sospetti su Arquà li ha avuti solo dal 26 maggio, data della prima lettera nella quale Arquà aggiunge le minacce a sé stessa. «C’era scritto “La tua begnamina”, un errore che ha acceso i dubbi subito su Rossella Arquà» e dei quali, ha detto lunedì, Lodi ha messo subito al corrente gli investigatori.

Eppure i sospetti investigativi su Arquà si accendono solo il 31 gennaio (e si concretizzano il 7-8 giugno) e solo perché «fu notata un’anomalia», come raccontato ieri da D’Avino. Quello è il giorno del ritrovamento di una delle 9 lettere minatorie. «Arquà disse di aver trovato due lettere, una era indirizzata al sindaco su problematiche di un quartiere, ma in realtà dalle immagini della telecamera si vedeva solo una signora imbucare una sola lettera. Ci fece pensare che ci potesse essere qualche ambiguità nel racconto della consigliera». Il cerchio si stringe il 7 giugno con l’anomalia ulteriore di una lettera trovata sul tergicristallo dell’auto di Arquà, che porta la Digos a pedinarla. Viene vista il 10 giugno uscire di casa in auto, arrivare in centro, fermarsi, mettere dei fogli sotto il tergicristallo, fare un altro giro, parcheggiare e togliere i fogli, portarli con sé nella sede della Lega. Poi, prima di uscire, una telefonata a Lodi per dirgli di un nuovo ritrovamento. In quella data anche la perquisizione della sua abitazione e il ritrovamento dei giornali ritagliati, usati per confezionare le lettere.

In tutto questo, con tutti questi sospetti, è emerso che Lodi è andato tranquillamente a prendere un aperitivo con lei il 3 giugno e l’8 le ha detto addirittura di avere un incontro con un uomo importante della Digos sulle lettere.

Il 21 giugno il sequestro del telefono dell’indagata che, come emerso ieri, 40 minuti dopo è stato sbloccato da qualcuno, in un momento in cui avrebbe dovuto essere intoccabile. Nel frattempo, tenuto acceso in modalità aereo, il cellulare di Arquà ha continuato a funzionare e produrre copie di backup di WhatsApp che hanno sovrascritto quelle potenzialmente più utili. Giova ricordare che la difesa Arquà lamenta la sparizione di diverse chat da WhatsApp, compresa quella con Lodi, la cui conversazione è stata ricavata solo dal cellulare dell’ex vicesindaco, non completa.

«È un’indagine che mette i brividi – commenta a margine Anselmo – . È pazzesco che attività d’indagine sia stata fatta da una società privata, interlocutrice del Comune, del quale peraltro è stata usata un’auto».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA