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Capolavori recuperati

Da Ferrara a Firenze per restaurare Giotto

Stefania Andreotti
Da Ferrara a Firenze per restaurare Giotto

Valentina Monai tra passione esperienze e tanti sacrifici

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Ferrara Per Valentina Monai ogni giorno la sveglia è alle 5, poi le servono due treni per arrivare a destinazione. Il rientro a casa non è mai prima delle 19. Il talento e lo studio di questa giovane ferrarese sono sorretti, oltre che dalla passione per il proprio lavoro, anche dal sacrificio, che oggi l’hanno portata ad essere una delle restauratrici che collaborano al recupero del ciclo di pitture murali di Giotto nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce a Firenze, sotto la direzione tecnica dell’Opificio delle Pietre Dure. Un sogno che parte da lontano. «Sin da bambina, grazie ai miei genitori, ho sviluppato un profondo amore per la storia dell’arte. Quando ho scoperto i corsi di restauro, ho capito di aver trovato la mia strada. Dopo il liceo scientifico, mi sono laureata con 110 e lode nel 2017 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Successivamente, ho frequentato la Scuola di specializzazione in Beni storico-artistici all’Università di Padova». Diversi tirocini, una borsa di studio al Museo archeologico di Barcellona, un anno a Malta in uno studio di restauro, poi impieghi tra Bologna, Ferrara, Vercelli e Firenze sono il solido background di Valentina.
Quali sono i lavori che hai realizzato a Ferrara?
«Ho collaborato al restauro della Chiesa di San Carlo Borromeo in corso Giovecca e ho lavorato anche alla chiesa di Denore e al cimitero di Sant’Agostino, ma da oltre tre anni il mio percorso mi ha portata a lavorare stabilmente a Firenze. Mi piacerebbe molto seguire nuovi progetti a Ferrara. Troverei interessante studiare la tecnica esecutiva delle pitture di Achille Funi nella Sala dell’Arengo di Palazzo comunale e lavorare sugli affreschi quattrocenteschi “nascosti” nel chiostro della Chiesa di San Paolo. Inoltre, considerando l’imminente apertura del cantiere al Castello Estense, sarebbe un sogno poter contribuire a quel progetto».
Arriviamo a Firenze e ad uno dei più grandi maestri della pittura.
«Al nostro arrivo in cantiere il ciclo decorativo di Giotto era in condizioni conservative piuttosto precarie, una condizione dovuta anche alla storia travagliata delle pitture della Cappella Bardi. Dopo la loro realizzazione, successiva al 1317, nel 1730 vennero coperte con uno strato di scialbo molto probabilmente per considerazioni di carattere estetico, non essendo in linea col gusto del tempo. A metà Ottocento vennero riscoperte e restaurate dal pittore Gaetano Bianchi, che ne integrò le parti mancanti. Tra il 1957 e il 1958, un nuovo restauro, condotto da Leonetto Tintori sotto la supervisione di Ugo Procacci, eliminò le ridipinture ottocentesche. Durante questo intervento sono stati usati fissativi sintetici che, nel tempo, uniti a consistenti depositi superficiali hanno portato ad un offuscamento della pellicola pittorica. Nel periodo attuale dopo un’accurata campagna diagnostica e fotografica è stato intrapreso quest’ultimo intervento di restauro che ha portato alla luce una situazione molto complessa dovuta ad alterazioni della pellicola pittorica, sollevamenti e cadute della stessa, fratture e distacchi tra gli strati di intonaco. In questa fase, dopo le precedenti che hanno coinvolto il preconsolidamento della pellicola pittorica, la pulitura, il consolidamento e la riadesione degli intonaci e le stuccature, ci stiamo occupando della reintegrazione cromatica delle lacune e delle abrasioni».
Quali competenze servono per fare il tuo lavoro?
«Un’ottima manualità e una preparazione piuttosto interdisciplinare, ovviamente serve una solida conoscenza di storia dell’arte ma soprattutto di storia della tecnica artistica per poter comprendere al meglio la materia su cui si sta lavorando e fare le corrette scelte operative anche a livello di compatibilità dei materiali. Fondamentale la conoscenza di materie scientifiche come chimica, fisica e biologia per poter comprendere al meglio molte cause di degrado e poter scegliere le metodologie operative più adatte. È molto utile saper utilizzare strumenti fotografici per una corretta documentazione prima, durante e dopo l’intervento. In ultimo, è molto utile la conoscenza di alcuni programmi informatici per la gestione del materiale digitale e la realizzazione di mappature».
Quali sono gli aspetti critici del tuo lavoro?
«Considerando la lontananza dal mio luogo di lavoro, sicuramente il poco tempo per la famiglia, il riposo e ogni questione personale. Inoltre, il settore del restauro presenta una certa precarietà: spesso i contratti sono brevi e legati alla durata dei cantieri, rendendo difficile pianificare il futuro. Molti colleghi, dopo anni di instabilità, hanno scelto di cambiare settore».
E le soddisfazioni?
«Ogni giorno, entrando in cantiere, mi sento fortunata di poter lavorare a stretto contatto con opere d’arte straordinarie. In particolare, durante questo progetto su Giotto, mi capita spesso di fermarmi e riflettere sul privilegio di lavorare su un capolavoro del genere. Sono profondamente grata per questa opportunità e per il sostegno della mia famiglia e del mio compagno, che mi hanno sempre incoraggiata in questo percorso. Inoltre, la mia naturale curiosità trova soddisfazione nell’accesso a luoghi e opere d’arte spesso inaccessibili al pubblico, rendendo il mio lavoro ancora più affascinante e gratificante».
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