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Troppi costi, poco mercato: chiude la cartiera di Mesola

Alessandra Mura
Troppi costi, poco mercato: chiude la cartiera di Mesola

Trasferimenti e cassa integrazione: i lavoratori chiedono risposte all’azienda

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Mesola Dopo mesi di crisi, per la cartiera di Mesola è arrivata la parola fine. Lo stabilimento Cartitalia del gruppo Pro Gest chiuderà i battenti a fine anno, ma l’agonia - determinata da una combinazione micidiale tra aumento dei costi di produzione - e calo della domanda di mercato - era cominciata fin da novembre quando l’azienda aveva fatto ricorso alla cassa integrazione ordinaria con successivi rinnovi che si sono protratti per tutto il mese di giugno. La situazione si è confermata per quello che è - irreversibile - poche settimane fa, quando Cartitalia ha chiesto un incontro al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per poter passare dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria per cessazione dell’attività. L’8 luglio a Roma lo storico stabilimento che dal 1988 rappresentava una delle pochissime realtà industriali del territorio ha di fatto ufficializzato la sua chiusura. Al suo "capezzale" al Ministero c’erano i rappresentanti della Regione Emilia Romagna, il proprietario di Cartitalia Francesco Zago, figlio del fondatore Bruno, il rappresentante di Confindustria e, per i sindacati, Fabio Artosi di Slc Cgil e Pier Luigi Bosi di Fistel Cisl. Nel verbale di accordo è stato messo nero su bianco che «nel corso degli ultimi anni, tutti i fattori della produzione: energia elettrica, trasporti, ricambistica, servizi di terze parti, manutenzioni sono continuamente aumentati a fronte, invece, di una domanda di mercato che si è via via rarefatta, tanto che dal 2022 i volumi produttivi sono costantemente calati», e al crollo degli ordini è seguito quello del fatturato «ormai quasi azzerato».

La società «non dispone più delle risorse, né di struttura, né economiche e finanziarie, necessarie alla prosecuzione dell’attività medesima». Nel frattempo, si erano susseguiti i confronti con il curatore incaricato di riorganizzare il debito, per salvare il salvabile da eventuali rivalse da parte dei due fondi speculativi che avevano prestato all’azienda il bond, scaduto a dicembre. Ma se il destino della cartiera è segnato, ci sono tante incognite che riguardano i 21 lavoratori (nel frattempo calati a 20). Fin da giugno, spiega Fabrio Artosi della Slc Cgil, «la proprietà aveva confermato ufficialmente che la produzione del sito di Mesola sarebbe stata spostata in un altro sito produttivo del Gruppo Pro Gest, quello di Mantova, perché dotata di requisiti migliori sia per quel che riguarda i macchinari che per la qualità della carta». Insomma il gioiellino di Pro Gest su cui il Gruppo sta investendo, mentre la fabbrica di Mesola si svuotava: «Hanno cominciato a portare via i macchinari, e da novembre l’attività è di fatto ferma, a parte un paio di giornalieri per smaltire gli ultimi arrivi e altri quattro dipendenti che fungono da metronotte», aggiunge uno dei lavoratori storici, Valentino Massarenti, impiegato nella cartiera fin da 1988 ed Rsu Cgil, che non nasconde il suo dolore per vedere delusa la sua - e dei colleghi - convinzione di finire il suo percorso professionale là dove era iniziato. Ora il cammino è in salita. L’azienda ha proposto ai dipendenti di passare alla cartiera di Carbonera, in provincia di Padova, riservando loro, nel caso, una corsia preferenziale. «Ma deve anche dirci cosa è disposta a mettere sul piatto, considerato che la fabbrica si trova a 100 chilometri di distanza, e affrontare 200 km al giorno, per chi lavora a turni, è a dir poco disagevole e oneroso», rimarca Artosi.

Altro punto: la cassa integrazione straordinaria. Che è stata concessa, ma i tempi tecnici perché cominci a essere erogata sono di almeno tre mesi: «E nel frattempo i lavoratori come fanno ad andare avanti? Con un anticipo sul Tfr?». Su questi punto non solo i sindacati, ma tutti i lavoratori, vogliono confrontarsi con l’azienda in un incontro fissato lunedì. «Quello del lavoro è il tema più immediato e urgente. È stato chiesto al Centro per l’Impiego di Codigoro di individuare percorsi di riqualificazione professionale, ma il discorso è più ampio e va oltre l’emergenza contingente. C’è un problema di desertificazione del territorio che rischia di tornare totalmente agricolo. E di una sede fisica, di dimensioni notevoli, che si svuoterà e che se non sarà recuperata - magari offrendo alternative di lavoro agli addetti - cadrà nel degrado», conclude Artosi sollecitando la politica e le istituzioni, a tutti i livelli, a intervenire.