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Ferrara, gli invisibili che lavorano ma non hanno casa

Annarita Bova
Ferrara, gli invisibili che lavorano ma non hanno casa

Un viaggio insieme ai volontari tra i palazzoni di via Scalambra e i porti del centro storico

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Ferrara Dormire sotto i portici, sulle panchine o, peggio ancora, in un non luogo abbandonato invaso da topi, bisce, zanzare. Passare notti insonni e piene di paure per poi, all’alba, andare a lavorare.

Succede (anche) a Ferrara, dove i lavoratori stagionali o a chiamata, quasi tutti stranieri, non hanno una casa. C’è chi guadagna troppo poco e chi, pur avendo disponibilità per arrivare a coprire i costi di una stanza, non trova nulla.

Le volontarie di strada Silvia, Carola e Mirca ci hanno accompagnati in viaggio terribile e triste, ricco di storie e di emozioni. Ogni giorno, sotto al sole cocente o nel mezzo dell’inverno più rigido, ci sono persone che si occupano di altre persone rendendo in qualche modo umano quello che umano non è.

Una premessa. Nessuno nelle lunghe ore di confronto e ascolto ha puntato il dito contro qualcuno. Ci sono delle richieste di aiuto, delle emergenze che in qualche modo devono essere affrontate ma non “colpe”. Si è parlato di percorsi di vita, alcuni al limite e altri invece ancora su binari che potrebbero portare verso porti sicuri. Ed è proprio sulla costruzione di questi porti che si dovrebbe iniziare a investire, soprattutto se dall’altra parte ci sono uomini e donne pronti a rimboccarsi le maniche.

Il Gruppo di Supporto agli Invisibili è nato qualche tempo fa. In seguito si è associato a Caritas diventando sua Unità di Strada potendo così avere badge, pettorine, torce, viveri confezionati vestiti e coperte da distribuire, nonché un’assicurazione che vale anche al di fuori dei locali (diversamente da quella che facevano tradizionalmente ai loro associati).
 

Silvia e Carola, accompagnate da Erick (che grazie a loro e a Domenico Bedin non sta più strada ma dedica la sua vita agli ultimi) fanno il giro di ristoranti, panettieri, fruttivendoli e raccolgono quello che resta invenduto. Nel carrellino rosso tengono decine di bottiglie d’acqua e ogni sera portano avanti il loro giro.
 

Via Scalambra La partenza è da via Scalambra. Dal parcheggio al canale duecento metri in cui ci si immerge in un’altra dimensione. Materassi, coperte, pentolini bruciati e scarpe rotte. «Qui fino a qualche tempo fa ci stavano i tossicodipendenti – spiega Silvia che non si perde certo in giri di parole -. Adesso sono andati via tutti, ma hanno lasciato un degrado inaudito”. È lei, architetto, a guidarci lungo stanze e corridoi, bagni mai finiti con già dentro i sanitari e l’impianto elettrico ben sistemato. L’eco rimbalza da un muro all’altro. Caldo e umidità accentuano l’odore forte e acre. Sembra deserto.
 

«Christopher, Abdoullaye, siamo noi». Si sentono dei passi e da una delle porte esce un ragazzo dall’età indefinita. Spinge una bicicletta, tutta rotta. «Ce l’hanno data ma ha le ruote da cambiare e stiamo aspettando Erick – precisa Silvia -. Questo ragazzo deve andare a lavorare, ma non sa come muoversi. Prende il bus, ha i biglietti ma ci sono problemi con gli orari. In qualche modo deve fare».

Abdoullaye lavorava per una ditta in Veneto e metteva insieme dei tubi. «Da un certo momento in poi mi hanno detto che non avevano più bisogno – racconta -, così sono venuto qui da un amico. Non mi aspettavo una sistemazione del genere, ma al momento non riesco a trovare altro. Ho un impiego ad ore, a chiamata».
 

«Fino al mese scorso c’erano altre dieci persone – fa presente la volontaria -, tutti ragazzi che lavorano per una nota compagnia di consegna di cibo a domicilio. Questo stabile è di proprietà privata e gli accessi ai piani superiori sono stati murati. Per stare più sicuri i ragazzi si sono procurati una scala a pioli, salgono e poi la tolgono. Non c’è, acqua, luce, gas. Niente di niente. Gli diamo dei gettoni e vanno a lavarsi al Kennedy, dove ci sono bagni e docce. Può darsi che adesso abbiano finalmente trovato un appartamento». Dopo qualche minuto arriva anche Christopher con Carola ed Erick. «Non ce la faccio più a dormire qui, io non ci riesco proprio. Sono andato in un parco questa notte, devo trovare una casa. Ho i soldi per una stanza ma al momento non si trova nulla».
 

In centro La seconda tappa è in centro. Sotto ai portici di Porta Reno ci sono Veronica e Claudio, dopo poco arriva anche Vincenzo. Veronica lavora in campagna, si alza prima dell’alba e torna alla sera. Così come Felicia, che però ha perso il lavoro «perché aveva trovato troppo lontano e in un posto dove non arrivano mezzi. Oggi non c’è, stiamo provando a contattarla», dice Carola. Veronica dorme su un cartone ed una coperta. «Mette da parte ogni centesimo perché la sua famiglia ha bisogno. Ha scelto e conquistato un luogo più o meno sicuro, la zona è sempre pattugliata ma per una donna vivere in strada è terribile». I motivi facilmente immaginabili. «Si spacca la schiena, lavora per tutto il tempo che riesce. Ci chiediamo dove possa trovare tutta questa forza e questo coraggio».

Vincenzo vaga per la strada, è molto arrabbiato. «Mi hanno rubato tutto. Per fortuna una signora mi ha regalato una coperta. Però sono contento perché mia nipote, che ha 14 anni, adesso abita con la nonna. Loro possono state insieme, io no e cerco di mandare quanti più soldi possibile». Vincenzo racconta e tutto diventa nuovamente surreale. Storie di dolore, davanti alle quali passiamo ogni giorno. Nei giardini della ex Standa dovrebbe arrivare Giovannino. «Ha il telefono spento da oggi, forse si è scaricato». Giovannino ha trovato lavoro al mare, «aiuta in uno stabilimento, poi nel pomeriggio prende il bus. Non ha una casa, ma un luogo dove tornare, in cui al momento ci sono poche certezze, ma ecco, almeno ci sono».

I volontari di strada non distribuiscono solo del cibo. Ascoltano e intervengono con la dovuta discrezione, entrando pian piano nelle vite degli altri. Insegnanti, architetti, liberi professionisti che si sono messi a disposizione. Perché se è vero che vivere per strada non è e non può essere una scelta, dedicare ogni giorno parte del proprio tempo a persone che restano ai margini è una decisione.