Ferrara ha perso oltre 500 artigiani, ci sono più avvocati che idraulici
L’analisi dell’ufficio studi Cgia, difficile il ricambio generazionale
Ferrara Nell’arco di un anno, tra il 2023 e il 2024, la nostra provincia ha perso oltre 500 imprese artigiane (504), passando da 9.938 a 9.434, con una flessione pari al 5,1%, appena al di sopra della media italiana del 5%. È quanto emerge dall’analisi dell’Ufficio studi Cgia che ha elaborato i dati dell’Inps e, per quanto concerne il numero delle imprese artigiane attive, di Infocamere/Movimprese.
La flessione nel territorio ferrarese appare comunque più contenuta rispetto alla situazione regionale. In Emilia Romagna il calo nello stesso periodo è stato del 6,3% con una perdita di oltre 19.300 imprese, e il crollo assume dimensioni molto preoccupanti se si va a ritroso di dieci anni: rispetto al 2014 a chiudere i battenti è stato un quarto delle realtà artigiane (25,2%) che in numeri assoluti significa 47.077 imprese in meno. Il processo è solo in parte riconducibile a operazioni di fusione e acquisizione; a pesare è anche l’invecchiamento della popolazione artigiana e la difficoltà a garantire il ricambio generazionale, un fattore particolarmente sentito nella nostra provincia.
A incidere sono inoltre fattori culturali che specie negli ultimi decenni hanno portato a una svalutazione “reputazionale” di professioni ad alta intensità manuale. Uno dei risultati portati a esempio di questa tendenza è il rapporto tra avvocati e idraulici: molto più facile reperire i primi che i secondi considerato che, a livello nazionale, il rapporto è di 233mila contro 165mila.
E se molti giovani, dimostrano scarso interesse nei confronti del lavoro manuale, il problema a monte risiede anche nell’orientamento scolastico «che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche. Chi al termine delle scuole medie inferiori ha dimostrato buone capacità di apprendimento è “consigliato” dal corpo docente a iscriversi a un liceo. Chi, invece, fatica a stare sui libri viene “invitato” a intraprendere un percorso di natura tecnica o professionale; creando, di fatto, studenti di serie a, di serie b e, in molti casi, anche di serie c». E intanto le imprese faticano a trovare personale qualificato.
La crisi, peraltro, non ha coinvolto tutte le tipologie del settore artigiano. Dati in controtendenza si riscontrano nel benessere e nell’informatica: aumentano acconciatori, estetisti e tatuatori così come i sistemisti, addetti al web marketing, video maker ed esperti in social media. Bene anche l’alimentare, con risultati positivi per gelaterie, le gastronomie e pizzerie per asporto, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica. L’artigianato inoltre da sempre rappresenta un presidio sociale fondamentale per la sopravvivenza e la qualità della vita dei centri storici cittadini.
Per questo, conclude lo studio, «sarebbe opportuno introdurre per legge un “reddito di gestione delle botteghe commerciali e artigiane” per chi (giovane o meno) gestisce o apre una attività, compatibile con la residenzialità, nei centri minori, fino a 10mila abitanti».
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