Ferrara, vent’anni di lotte per Marco Coletta. La madre: «Rifarei tutto»
Il 9 settembre 2005 la tragedia in via Raffanello: «Si poteva evitare»
Ferrara Il signor Daniele ci sente poco, anni di lavoro come operaio alla Berco gli hanno regalato l’acufene. È un uomo pacato, ha i baffi ancora come si portavano un tempo, gli occhi azzurri e limpidi che ogni tanto hanno un lampo, si infuocano di rabbia ancor prima di contornarsi del rosso che prelude le lacrime. «Io voglio giustizia», scandisce a denti stretti.
Il signor Daniele è il padre di Marco Coletta, lo studente di giurisprudenza morto in via Raffanello, strada provinciale 29, tra Baura e Copparo, il 9 settembre del 2005. Un mese dopo, il 5 ottobre, avrebbe compiuto 23 anni. Marco Coletta finì con la sua auto nel canale che costeggia la strada mentre tornava a casa da una gara di ballo, la sua grande passione. Venne trovato due giorni dopo, grazie all’affiorare dello specchietto retrovisore della macchina. Poco tempo dopo, in quel tratto di strada pericolosa la Provincia installò 16 metri di guard rail che prima non c’erano. Davvero il confine tra la vita e la morte.
Da quella tragedia sono passati ormai vent’anni. «Per me è un miracolo essere ancora qui, dopo tutto quello che ci è capitato», dice la signora Antonietta Finotti, che tutti chiamano Antonella. È la madre di Marco: «Non avrei mai pensato di sopravvivere vent’anni, quasi tutta la sua vita. Ho preso coscienza di tante cose: la sua mancanza, la sua non presenza, che è un’altra cosa, dopo le battaglie giudiziarie, le batoste che abbiamo preso per cercare di avere un po’ di giustizia».
La giustizia, quella dei tribunali, i Coletta non l’hanno avuta in nessun grado di giudizio, fino addirittura alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, alla quale si sono invano appellati.
Ma la loro battaglia non si può dire sia stata vana. «Abbiamo capito subito che la morte di Marco si poteva evitare», racconta la signora Finotti. Ed è molto probabilmente vero, se è vero che proprio in quel punto la barriera ha presentato e presenta le ammaccature tipiche degli urti dei veicoli. Veicoli che non sono finiti nel canale, dentro metri di acqua, proprio per la presenza di quel confine.
«Siamo andati avanti credendoci, un po’ di giustizia è andata tutta a favore di chi rimane». E anche per questo è vero che «Marco non è mai passato, è sempre presente», come dice la signora Finotti. Lo è nel cippo che lo ricorda in quella strada maledetta. Lo è nel parco di Tamara e in quello davanti al Grattacielo di Ferrara a lui intitolati. E anche queste “piccole” cose sono state battaglie per i due genitori, che hanno cercato in tutti i modi, anche scontrandosi al tempo con amministratori locali, di fare in modo che la memoria del loro figlio rimanesse viva. «Mai nessuno ci ha chiamati, anzi, vedevamo la cattiveria nei nostri confronti», dice il signor Coletta, ed è uno di quegli attimi in cui i suoi occhi si accendono. «Un politico mi disse: fermati, non si va contro le istituzioni – confida la signora Finotti –. Rifarei ancora tutto, anche se ho perso dappertutto. È stata dura, è stata umiliante, è stata faticosa, come abbiamo fatto in vent’anni?». Forse anche ricordando i bei momenti. Marco che «veniva in cucina e mi faceva provare i passi dei balli con lui», o quando il padre veniva “precettato” per ascoltarlo ripetere in preparazione degli esami. «Voleva diventare commissario di polizia o magistrato – ricorda la madre –. Diceva: c’è tanto male nel mondo, voglio provare a sconfiggerne almeno un pochino».
© RIPRODUZIONE RISERVATA