Il Tribunale di Ferrara dice no al boss della Camorra
Salvatore Belforte all’ergastolo, anche la Cassazione conferma
Ferrara È stato il Tribunale di Ferrara a dire di no al boss Salvatore Belforte. E la Cassazione ha stabilito che la decisione è stata corretta. Niente sostituzione della pena dell’ergastolo con i trent’anni di reclusione richiesti, dunque, per uno dei vertici storici del clan camorristico Belforte-Mazzacane di Marcianise, nel Casertano, tra le organizzazioni più longeve e potenti dell’area. Belforte, 65 anni, tra le varie condanne alle spalle ne ha una all’ergastolo per due omicidi e un tentato omicidio (e altri reati) compiuti quasi vent’anni fa, nel 1998, nel bel mezzo di della sanguinosissima guerra di camorra tra il clan Belforte e quello rivale dei Piccolo. Per questi fatti era stato giudicato a Napoli con il rito abbreviato e condannato appunto all’ergastolo con isolamento diurno. Una decisione divenuta definitiva nel 2015. Nel frattempo Belforte ha fatto in tempo a diventare un collaboratore di giustizia e a vedersi poi revocare tale status per aver mentito sulle sorti di una donna uccisa nel 1991 perché amante del fratello Domenico.
Dieci anni dopo, nel marzo di quest’anno, il Tribunale di Ferrara, nei panni di giudice dell’esecuzione (e questo lascia presumere che il boss sia ristretto all’Arginone), aveva emesso un’ordinanza di rigetto dell’istanza di conversione della pena dal cosiddetto carcere a vita a una a 30 anni. Ordinanza impugnata dalla difesa di Belforte davanti alla Cassazione, che ha però ritenuto corretta la decisione del Tribunale estense.
In punta di diritto, Belforte aveva proposto l’applicazione della legge “Carotti” del 1999 (che prevedeva il meccanismo di sostituzione dell’ergastolo con 30 anni di reclusione per le condanne in abbreviato) sulla base di una interpretazione estensiva di decisioni Corte europea dei diritto dell’Uomo e della Corte Costituzionale. Come rilevato dalla Cassazione, però, l’imputato aveva chiesto l’abbreviato nel 2011, dunque molto oltre la finestra temporale, compresa tra gennaio e novembre del 2000, di vigenza della norma introdotta dalla legge Carotti e poi modificata. Perciò nessuno “sconto” è applicabile al boss. Più o meno in contemporanea, peraltro, la Cassazione ha dato risposta negativa anche a Domenico Belforte, 68 anni, detto Mimì, fratello di Salvatore e anche lui al vertice del potente clan, che aveva chiesto la revoca del carcere duro, ovvero del regime del 41 bis. In questo caso la richiesta è stata rigettata perché l’istanza non era stata sottoscritta, come d’obbligo, da un avvocato abilitato al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione, ma solo personalmente dallo stesso boss.
© RIPRODUZIONE RISERVATA