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Indagine sui cugini uccisi a Rero: «Ci opponiamo all’archiviazione»

Daniele Oppo
Indagine sui cugini uccisi a Rero: «Ci opponiamo all’archiviazione»

I nuovi accertamenti non fanno cambiare idea al pm: prove insufficienti

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Rero Sono passati ormai quasi due anni da quando il giudice delle indagini preliminari ordinò nuovi accertamenti. Dall’omicidio dei cugini Dario e Riccardo Benazzi, di anni ne sono passati invece quattro e mezzo abbondanti. Ma nulla sembra essere davvero cambiato sul fronte dell’individuazione dell’autore o degli autori: la Procura di Ferrara ha infatti chiesto per la seconda volta l’archiviazione delle indagini a carico delle uniche due persone iscritte nel registro degli indagati, padre e figlio che vicino a pochi passi da dove è avvenuto il duplice omicidio. Il duplice omicidio è avvenuto il 28 febbraio del 2021 in un campo a Rero, dove le due vittime stavano smontando il traliccio del prototipo di impianto eolico ideato da Riccardo. Presi a fucilate, i due sono stati poi caricati sulla Volkswagen Polo di Dario, la quale è stata poi riempita di legna e stracci e alcune ore dopo data alle fiamme.
Inizialmente trattato come un caso di suicidio, l’indagine, al tempo coordinata dalla Pm Lisa Busato, oggi non più a Ferrara, e poi passata al collega Alberto Savino, partì subito in salita, al punto che si arrivò a una prima richiesta di archiviazione, dettata anche di due giudizi in sede cautelare molto severi in tema di prove raccolte contro gli indagati.
E nessuno degli indizi raccolti, nessuno dei nuovi accertamenti sulla polvere da sparo, le armi, i materiali e sul coinvolgimento di altre persone e nemmeno l’esperimento che ha dimostrato che a spostare i cadaveri debbano essere state almeno in due, ha conferito maggiori certezze su chi possa essere stato a uccidere.
La richiesta di archiviazione è stata depositata alcuni giorni fa, ma i legali delle famiglie, gli avvocati Denis Lovison e Massimiliano Sitta, annunciano di aver già presentato opposizione all’archiviazione con richiesta al giudice delle indagini preliminari l’imputazione coatta dei due indagati. I legali ritengono che «sussistano tutti gli elementi di prova necessari a spiegare una imputazione coatta e ulteriore attività istruttoria». Ad avviso dei difensori, gli ultimi atti d’indagine «hanno portato ulteriori elementi di prova idonei a sostenere un’accusa in giudizio» e hanno suggerito «alcuni temi d’indagine» con l’obiettivo «di celebrare un processo al fine di individuare le responsabilità degli indagati e dare giustizia alle vittime di questo efferato duplice omicidio, perché è giusto che i familiari possano sapere quello che è successo, come è successo e soprattutto chi ha commesso questo efferato omicidio».
Non è una strada scontata. Con le prove raccolte durante l’indagine, e che la Procura non ritiene particolarmente arricchite dalle ultime attività compiute, già due giudici in sede cautelare avevano ritenuto particolarmente debole e fragile il quadro indiziario, inidoneo a dimostrare nemmeno la parvenza di una responsabilità in capo a padre e figlio indagati, a partire dall’incertezza sull’ora della morte, con grosse discrasie nei racconti dei testimoni sull’ora in cui sono stati sentiti degli spari e sullo spostamento dell’auto dei Benazzi, in un orario fondamentale per accertare la presenza in zona dei due indagati. Non è stato nemmeno possibile attribuire il reato a uno o all’altro o a tutti e due in concorso e l’arma sequestrata è risultata incompatibile con quella usata per uccidere. Anche le consulenze sulle tracce da sparo non hanno portato un contributo in tal senso, se non a favore degli indagati. 
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