La comunità ebraica di Ferrara: «Contro di noi un clima di odio»
A due anni dalle stragi di Hamas parla il presidente Fortunato Arbib: «Per la pace occorre coesione»
Ferrara A due anni esatti dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, che provocò la morte di 1.200 persone tra civili e militari israeliani e il rapimento di circa 250 ostaggi, la ferita resta aperta. Il massacro di quella giornata - tra i kibbutz, le basi militari e il Nova Festival, dove vennero uccisi 364 giovani e rapiti altri 44 - continua a rappresentare un punto saldo e di non ritorno nella memoria collettiva. A ricordarlo oggi è Fortunato Arbib, presidente della Comunità ebraica di Ferrara, che invita alla riflessione in un momento particolarmente significativo: l’inizio della festività di Sukkot e l’avvio dei nuovi negoziati di pace per Gaza.
«Di fronte agli avvenimenti di due anni fa, alle uccisioni, alle barbarie, alle donne stuprate, ai bambini uccisi davanti alle madri, di fronte a questa violenza inaudita, non si hanno ancora oggi parole per descrivere quello che si prova - ha detto Arbib -. Gli avvenimenti successivi portano a fare continue riflessioni che vanno al di là di tutto questo. Il clima dell’Italia, che comunque resta ancora un Paese democratico, è un clima di profondo odio. Un odio che va al di là delle idee e delle scelte politiche di ciascuno. Quello a cui assisto ogni giorno, non solo in tv ma anche sulla stampa o nei gruppi dove ci scambiamo informazioni, a volte supera anche il cosiddetto antisemitismo, parola che, secondo me, non basta per definire questo sentimento di avversione».
Parole che risuonano in un contesto mondiale ancora fragile. Proprio ieri, a Sharm el-Sheikh, sono infatti cominciati i negoziati sul piano di pace per Gaza proposto dal presidente americano Donald Trump, a cui Hamas ha dato un via libera condizionato. Secondo la tabella di marcia annunciata dalla Casa Bianca, la prima fase del piano dovrebbe concludersi entro la fine della settimana.
Sulla possibilità di una svolta diplomatica, Arbib mantiene un tono prudente ma fiducioso: «Bisogna approfittare di questa occasione e lasciare perdere le divisioni. Ciò che mi piacerebbe vedere è un Paese più coeso per la pace. Bisogna smettere con i protagonismi e provare a raggiungere un obiettivo comune di pace. Se non ci mettiamo in testa che questo è l’obiettivo finale, al di là delle ideologie politiche di ognuno, allora non lo raggiungeremo mai».
Un appello alla responsabilità collettiva che si intreccia con il significato profondo della festività di Sukkot, iniziata ieri sera e oggi entrata nel vivo. Conosciuta come la Festa delle Capanne o dei Tabernacoli, Sukkot celebra la gioia e la riconoscenza per la protezione divina durante il cammino del popolo d’Israele nel deserto verso la Terra Promessa. «La capanna va al di là del semplice immaginario del pranzo e della cena, bensì è il momento in cui ci spogliamo dei nostri averi e ricordiamo la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la Terra Promessa - ha spiegato Arbib -. Una festività che arriva a pochi giorni da Yom Kippur, il giorno di espiazione dei nostri peccati. Di fronte a tutto questo, ci raccogliamo nell’ambito della nostra comunità e ci contiamo».
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