Residenti di via Ippodromo: «Aldrovandi, un ragazzo disadattato. Quel giorno ci ha esasperati»
Lettera al veleno contro il libro “Aldro. Storia di un orrore perbene” dello scrittore Michele Dalai. Contestata la ricostruzione del caso: «E i genitori non pensano di avere sbagliato qualcosa con quel figlio morto di botte?»
Ferrara Non c’è pace per Federico Aldrovandi, nemmeno a vent’anni dalla morte, ricordata in tutta Italia nei giorni scorsi, risvegliando una ferita che ancora divide la città. Come dimostra una lettera scritta a mano, firmata da quello che si definisce “Gruppo di famiglie di via Bologna e via Ippodromo” e si è sentito offeso dalle pagine del libro “Aldro. Storia di un orrore perbene”, da poco uscito per la Compagnia Editoriale Aliberti e presentato a Ferrara.
Nel testo l’autore Michele Dalai ricostruisce, ricorrendo alla finzione letteraria, diversi aspetti della vicenda, tra cui il silenzio degli abitanti della via in cui il ragazzo è stato ucciso dagli agenti di polizia. «Noi famiglie vorremmo sapere da questo signore dove si è documentato per avere scritto cose assurde e falsità nei nostri riguardi», e proseguono: «Siamo stati descritti come persone che in quel frangente hanno fatto finta di nulla, di non aver visto o sentito ciò che accadde quel giorno, mentre siamo stati noi a chiamare la polizia, esasperati da quel ragazzo che da ore disturbava la quiete pubblica con urla, comportamenti alterati, completamente fuori di sé a causa della droga di cui faceva uso». E ancora descrivono Aldrovandi come «ragazzo disadattato, uno dei più facinorosi ultras della Spal», e si stupiscono che «ora vogliono anche fare un film su questa triste storia prodotto dal signor Muroni». Poi si rivolgono ai genitori: «Dov’erano in quei momenti? Non pensano di avere sbagliato qualcosa con quel figlio morto di botte?». Una stoccata anche alla Nuova Ferrara per non aver dato spazio a lettere come questa, forse si chiedono «perché i genitori erano dipendenti comunali»? E l’augurio finale è che sulla storia scenda «un velo pietoso».
«È esattamente per questo motivo che ho scritto il libro», è il lapidario commento di Dalai, che poi scrive sui social: «Ho sentito testimonianze e letto gli atti: Aldro non amava andare allo stadio ed era arrivato nella via da appena mezz’ora, non da ore, tutto sbagliato, falso, meschino. Pagine piene di rancore e benaltrismo che a distanza di vent’anni feriscono come le manganellate». Il Comitato per Federico esprime stupore e amarezza per la pretesa di «impartire lezioni di verità e comportamento alla famiglia Aldrovandi e a chi in questi anni ha cercato con fatica e dolore di difendere la memoria dei fatti. Quella notte a molti di voi fu chiesto di testimoniare. Avreste potuto aiutare la ricerca della verità. Alcuni lo fecero con coraggio, altri tacquero per paura, opportunità, quieto vivere. Possiamo comprenderlo, ma non accettiamo che oggi questo si trasformi in giustificazione e condanna verso chi ha perso un figlio. Perché il silenzio in certi momenti non è neutrale, è una scelta». Federico continua a far discutere, per questo il Comitato che porta il suo nome, continuerà nella sua battaglia «con civiltà, ma senza più silenzio».
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